Modestissima proposta per il 23 maggio 2015 (e seguenti) in memoria di Giovanni Falcone: facciamo altro, lo facciamo diverso e più concreto. Smontiamo i palchi e stop alle celebrazioni fin qui fatte. Questa memoria delle stragi è entrata nel vissuto dei ragazzi italiani e nessuno la cancellerà più. Ha ragione don Ciotti: usiamo altre parole e altri “riti”, anche se quelli vecchi “sono nobili”. Cambiamo.
Cosa fare? Si potrebbe, ad esempio, fare questo per Palermo: il liceo Garibaldi, uno dei più prestigiosi della città, non ha palestra. Ce n’è una ma è chiusa da un anno. Bene, anzi male: i soldi pubblici spesi per l’organizzazione del 23 maggio, usiamoli l’anno prossimo per fare quella o un’altra palestra in una scuola di Palermo o un’altra cosa in un quartiere popolare. Il ministero dell’istruzione ha certo una mappa di quel di cui c’è bisogno. Magari occupiamoci del liceo Umberto, dove Falcone ha studiato, dotandolo di strutture che forse non ha.
A Milano alcuni professori sono impegnatissimi su questo fronte. Studenti e prof milanesi hanno piantato un loro “albero Falcone” davanti al liceo Volta, lo curano e lo fanno crescere. Ogni 23 maggio c’è un corteo, come quello di Palermo. Forse, il 23 maggio di ogni anno si potrebbero piantare tanti di questi alberi come quello di Milano e farli crescere alti e venerarne il significato simbolico, nei centri storici delle città italiane (la mafia ormai fa affari dovunque), come se fosse un monumento a questa Resistenza, entrata nel Dna di milioni di italiani, soprattutto studenti medi. Sono stato a Palermo, in occasione del recente anniversario della strage di Capaci e mi sono guardato intorno: questa è diventata ormai un’occasione civile indiscutibile e nessuno mette più in dubbio seriamente il valore della legalità, dopo l’attacco delle stragi mafiose di 22 anni fa.
Chi fa polemiche o sminuisce il valore del 23 maggio, lo fa per ragioni “pelose” e poco nobili. La polemica è sempre stato lo strumento, dalle prime fiaccolate per Dalla Chiesa in poi, per cercare di cancellare le facce di decine di migliaia di persone che hanno fatta propria la battaglia civile contro le mafie. Marce e fiaccole, per chi ha conosciuto lo spettro del buio deserto e del silenzio civile della Palermo degli anni Ottanta, sono servite e servono perché non sono caduti tutti i muri ancora eretti dalla cultura mafiosa.
La mafia c’è ancora, combatte, si allea ancora con la politica e permea l’economia legale, fa patti e trattative con pezzi dello Stato. Ma il livello di reazione civile nella società si è alzato rispetto a ventidue anni fa: i ragazzi che ogni anno, da anni, sbarcano a Palermo sono la prova che da qui non si torna indietro e che l’educazione alla legalità (un progetto didattico che nel 1992 non era nei programmi scolastici italiani) ha fatto il suo inarrestabile cammino nella coscienza nazionale.
Il 23 maggio non è una vetrina; è un fatto “politico” molto rilevante: cosa c’è di poco concreto in ventimila ragazzi che vanno a Palermo e ci credono, per almeno un anno studiano le parole e l’esempio di Falcone e Borsellino e vogliono capire, vedere, ricordare per poi raccontare? Ma ora c’è bisogno di un segno diverso proprio perché questi ragazzi hanno imparato e digerito la lezione, citano Falcone che citava Brecht: “Beato il Paese che non ha bisogno di eroi”. A Palermo, venerdì 23 maggio scorso, io ho partecipato al dibattito in piazza Magione. Nella scuola “Amari Roncalli Ferrara” ed è stata una bella festa di ragazzi. Una cosa vera, non retorica, intorno alla scuola dove Paolo Borsellino ha frequentato le elementari. Come altri, sono stato invitato dal Miur, con gente come me venuta a spiegare ai ragazzi quel che si è appreso sulle mafie. Tra volo e albergo per una notte, per me hanno speso credo più o meno duecento euro, forse di più. Forse li avrebbero potuti risparmiare e spendere diversamente.
Ecco quel che voglio dire sul 23 maggio dal 2015 in poi: non so quanto ha speso lo Stato per far venire a Palermo 20mila ragazzi e i loro prof, per farli viaggiare sulla nave della legalità e ospitarli. Ma forse in futuro si potrebbe scegliere di fare altro, di mirare ad altro. Per gli stessi obiettivi. Sono stati soldi ben spesi per i ragazzi, ma dal 2015 usiamoli per Palermo: rifacciamo scuole e palestre. Sempre nel nome di Falcone che, davanti a quei ragazzi che parlano con le sue parole, tirerebbe fuori il suo sorriso malinconico di siciliano che lavorava (ed è morto) perché, un giorno, nel mondo non ci fosse più la mafia.
* Pubblicato su Repubblica-Palermo