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Il caso Jovine e i Casalesi

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La notizia è come un bomba che scoppia di improvviso senza che tanti se lo aspettassero. Antonio Iovine, detto o’ Ninno per il suo viso da bambino, arrivato giovanissimo ai vertici dell’organizzazione rimanendovi per i successivi dieci anni, autentico ministro dell’economia della camorra dei Casalesi, sta parlando. Trema una parte non piccola della politica, della imprenditoria campana, nazionale e persino fuori d’Italia. Le aziende piccole e grandi, che sono nate grazie a lui e hanno prosperato grazie ai suoi flussi di danaro, si sentono da un giorno all’altro in difficoltà. Il suo talento è stato quello di far fruttare quello che si ricavava dal narcotraffico, dalle estor-sioni, dalle truffe e dagli appalti statali. Uno dei primi colpi riusciti di O’ Ninno fu l’acquisto della discoteca Gilda di Roma.

Ed è allora che si è legato ai tre settori economici decisivi della capitale: imprese edili, ristoranti e import-export. Ha cercato persino di scalare la squadra di calcio della Lazio, riciclando ventuno milioni di euro provenienti dall’Ungheria. Ed ha investito più volte nel fiorente gioco d’azzardo della capitale. Da latitante (lo è stato per quattordici anni) si è mosso molto soprattutto a Roma, in Toscana e in Emilia, seguendo il flusso del denaro e i reinvestimenti. E’ ancora giovane (è del settembre 1964) e ha figli giovani e che fanno parte a pieno titolo nella vita sociale della borghesia nel Casertano come in quella romana. Iovine ha avuto un ruolo così centrale e decisivo in quella parte della camorra che fa capo ai Casalesi da poter raccontare anche delle voci che lo hanno descritto come il burattinaio dietro la scalata di Ricucci, Coppola e Statuto. E persino forse ha collaborato a costruire il potere accumulato dall’ex sottosegretario all’Economia nel quarto governo Berlusconi, Nicola Cosentino.

Potrebbe ricordare anche i retroscena della caduta del secondo governo Prodi nel gennaio 2008. Allora – qualcuno ricorderà – che quel governo cadde perché l’allora ministro Clemente Mastella ritirò la fiducia dopo che sua moglie, consigliere regionale in Campania, venne indagata dalla magistratura per tentata concussione. Si ricorderà che Nicola Ferraro, dirigente UDEUR e consigliere regionale ( condannato  per concorso esterno in associazione mafiosa) chiese a Luigi Annunziata, direttore generale dell’Ospedale di Caserta di mettere Carmine Iovine cugino di 0′ Ninno come capo della direzione sanitaria  in quell’Ospedale.

Ma – come è fin troppo noto – il problema delle infiltrazioni camorristiche non riguarda soltanto la troppo celebre Casale Principe, dove è nata e ha il suo centro, la banda dei Casalesi che ha avuto  un primo capo in Francesco Schiavone detto Sandokan, per la somiglianza fisica a Kabir Bedi che aveva interpretato quel personaggio in una fiction  televisiva di qualche anno fa fino alla definitiva cattura nel 1998, quindi un secondo capo in Antonio Iovine che, soffrendo di claustrofobia non ha poi potuto nascondersi in un bunker e un altro superboss in Michele Zagaria che finisce in carcere, dopo quattordici anni di latitanza, il 7 dicembre 2011.

Nella vicina Gragnano – comune sciolto per infiltrazioni camorristiche  grazie un decreto dell’allora ministro dell’Interno, nel governo Monti, Anna Maria Cancellieri – le cose non sembrano presentare problemi diversi o minori. In quel comune il Viminale – lo si legge nel provvedimento – aveva individuato una situazione a dir poco disordinata, visto che si può leggere nel documento che “il Comune presentava forme di ingerenza della criminalità organizzata che comprometteva la libera determinazione e l’imparzialità degli organi elettivi, il buon andamento dell’amministrazione ed il funzionamento dei servizi con grave pregiudizio per lo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica.”

Il sindaco della cittadina – è il caso di ricordarlo – era Annarita Patriarca, figlia del senatore della Democrazia Cristiana Francesco Patriarca, condannato a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa e moglie del sindaco di San Cipriano di Aversa Enrico Martinelli, condannato a sei anni di reclusione per lo stesso reato (ritornato quest’ultimo dopo la scarcerazione nella casa coniugale, proprio a Gragnano). Del resto, altri elementi emergono nella vicenda che riguarda l’ex sindaco di Gragnano.

Nel 2009 all’impresa di trasporti che ha vinto l’appalto triennale per il servizio di trasporto scolastico da quasi un milione e mezzo di euro. La ditta – dice il sindaco Patriarca -dovrà assumere personale indicato da lei e soltanto da lei. Il consigliere comunale più votato del Pdl, l’avvocato Liborio Romano, presente all’incontro, preparerà e consegnerà loro la lista dei nomi, stampata al computer, in un successivo appuntamento presso il suo studio. Sono in ballo una ventina di posti di lavoro per tre anni, merce importantissima in quelle terre con poco lavoro. Ma l’impresa di trasporti non cederà all’imposizione e farà di testa propria. Avviene addirittura che funzionari comunali e il corpo di polizia municipale si uniscono nell’obbiettivo, tutt’altro che legale, di impedire alla School Bus Service srl  di Afragola di iniziare il servizio di trasporto. I mezzi vengono sequestrati per supposte inadempienze documentali quando i bambini sono già a bordo. Scattano anche contraddizioni che il giudice di pace annullerà per palese infondatezza. Ma di fatto si impedisce alla ditta di iniziare a lavorare. L’appalto, subito revocato, fa sì che Gragnano resti priva del trasporto scolastico. L’incarico verrà poi assegnato a un’altra ditta che osserva una clausola non scritta ma molto importante: assumere le persone segnalate dal sindaco. Ora la Procura di Torre Annunziata ha aperto un’inchiesta sulla vicenda degli autobus e ha ordinato, attraverso il giudice, il divieto di dimora per l’ex sindaco Patriarca. Non c’è altro da aggiungere per il racconto degli avvenimenti ma, se è lecito un commento, sia pure breve, a quello che sta succedendo in Campania di questi tempi mi viene in mente quello che Giovanni Falcone ha detto alla giornalista francese Marcelle Padovani in un libro pubblicato dall’editore Rizzoli un anno prima delle due grandi stragi siciliane di mafia (molte volte ristampato negli anni successivi) in cui il magistrato, ucciso da Cosa Nostra, disse:” La professionalità consiste, quindi, anche nell’evitare le trappole. Non sempre chi stava intorno a me ha visto nella giusta luce l’attenzione che dedicavo al problema della mia sicurezza: ritengo che si tratti della regola numero uno, quando si ha il compito di combattere la mafia. Si è favoleggiato sulle mie scorte, sul mio gusto del mistero, sulla clandestinità della mia vita, sulla garitta davanti alla mia abitazione. E’ stato scritto che mi spostavo da un bunker all’altro, dal Palazzo di Giustizia alle carceri alla mia prigione personale: la mia casa. Qualcuno ha pensato forse che  attribuissi troppa importanza a questi problemi. Non sono d’accordo. Conosco i rischi che corro facendo il mestiere che faccio e non credo di dover fare un regalo alla mafia offrendomi come facile bersaglio. Noi del pool antimafia abbiamo vissuto come forzati: sveglia all’alba per studiare i dossier prima di andare in tribunale, ritorno a casa a tarda sera.”

(G. Falcone, Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra, Milano, Rizzoli, 1991, p.158).    


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