Mezzo milione di persone in Sud Kordofan e Nilo Azzurro rischia di morire di fame dopo essere scampato ai bombardamenti delle forze armate sudanesi. In Darfur sono ripresi, più violenti che mai, gli assalti di sanguinarie milizie che attaccano popolazioni nella regione occidentale del Sudan con il nome di Rapid Support Forces. I miliziani, arruolati dal governo sudanese di Omar Hassan al Bashir come i janjaweed nel 2003, attaccano prevalentemente contadini e profughi.
Fonti locali dirette riferiscono di pestaggi, furti ed estorsioni a danno di diversi villaggi, centri rurali e campi profughi sia nel Nord che nel Sud Darfur. Tra gli episodi più recenti quello raccontato qualche giorno fa da Radio Dabanga, unica radio libera e indipendente del Darfur. Gli studenti della scuola tecnica di Kutum sono stati selvaggiamente picchiati, costretti a stendersi e a subire la minzione degli assaltatori. Anche le ragazze, almeno 12, sono state malmenate, stuprate da quattro uomini armati e portate via dal villaggio.
Per loro nessuno ha rilanciato un hastag che, diventando tendenza, sollevasse cori di indignazione e coinvolgesse personaggi famosi e i ‘potenti’ del mondo.Eppure una coalizione internazionale di cui fanno parte Italians for Darfur, Amnesty International, United to end genocide e molte altre organizzazioni, ha promosso dal 25 aprile all’8 maggio iniziative per chiedere l’attenzione della comunità internazionale. Da Washington a Roma, da Tel Aviv a Parigi attivisti e rifugiati sudanesi hanno manifestato per accendere i riflettori sulle nuove violenze in Sudan.
Le testimonianze raccolte tra i profughi sia dei monti Nuba sia del Darfur raccontano di continui assalti seguiti in molti casi da raid aerei e scontri armati che hanno coinvolto milioni di persone. Da giugno 2011, quando è scoppiata una nuova fase della guerra tra il governo del Sudan e il Movimento di Liberazione Popolare del Sudan del Nord (SPLM-N), è stata un’escalation di scontri e razzie. Nonostante il governo abbia negato l’accesso ai giornalisti stranieri e alle Ong internazionali isolando la regione, le notizie dei massacri perpetrati dalle forze governative, ma anche dai ribelli del sud, sono filtrate ampiamente. Soprattutto grazie a emittenti coraggiose come Radio Dabanga. Anche numerosi villaggi oltre il confine, sono stati bombardati dagli aerei Antonov sudanesi come ha denunciato Mukesh Kapila, ex capo del Programma Onu di Sviluppo in Sudan.
Kapila, come George Clooney (nella foto), è stato sentito recentemente dal Congresso americano. Ha raccontato ciò che ha visto nel suo ultimo viaggio nel Paese: villaggi bruciati, coltivazioni distrutte, scuole e chiese danneggiate e mine antiuomo e bombe a grappolo disseminate nei luoghi dove donne e bambini, ogni giorno, vanno a prendere acqua e legna da ardere. Nonostante questo il silenzio perdura su una crisi che in oltre undici anni di violenze, sofferenze e morte ha avuto pochi, isolati, momenti di grande attenzione mediatica.
Con il sempre più scarso interesse nei confronti di quanto avviene in Sudan di paesi che contano, come gli Stati Uniti, la speranza che qualcosa possa cambiare appare, poi, più lontana che mai.
E’ per questo che è stata lanciata, e chiedo di rilanciare, una nuova campagna: #Don’t LookAway, non distogliamo lo sguardo… per non essere colpevoli quanto chi continua a violentare, affamare e uccidere senza scrupoli in Darfur, come in Sud Sudan e sui Monti Nuba.