Quali che siano le motivazioni di Renzi, quali che siano i limiti delle scelte compiute, ha sostenuto Lucia Annunziata su Huffington Post, resta il fatto che il segretario del PD ha lanciato le donne a posti di vertice. Anzi, Renzi prenderebbe finalmente atto, sia pure con gesti unilaterali, di quanto le donne avrebbero conquistato accrescendo la loro forza nella società. Lo stesso ragionamento e le stesse valutazioni valgono anche per le decisioni sui vertici delle aziende partecipate. Il valore simbolico di queste scelte sarebbe dunque non solo assai rilevante, ma anche irreversibile. Il simbolo preverrebbe sui limiti di metodo e sui problemi di sostanza rispetto alle singole donne nominate. E soprattutto il simbolo sarebbe più forte della realtà delle regole, o meglio delle loro assenza.
Tuttavia, proprio la mancanza delle regole, rischia di mettere in discussione lo stesso valore simbolico della scelta.
A parte la vicenda discutibile delle nomine delle donne nelle aziende, a partire da quella di Emma Marcegaglia, con i suoi conflitti di interesse e con la sua discussa esperienza di imprenditrice, non credo che possiamo dimenticare che la scelta di Renzi ha lasciato sul terreno almeno una vittima, a mio parere assai illustre.
Giusy Nicolini ha rinunciato alla candidatura al Parlamento Europeo nelle liste del PD. È un peccato. La presenza nell’assise europea di una protagonista della battaglia contro le norme nazionali e europee sull’immigrazione sarebbe stato importante per tutti e per tutte.
Quello che sorprende è il contesto in cui è avvenuta la rinuncia. La sindaca di Lampedusa ha ritenuto, credo a ragione, che fossero venute meno le condizioni per Lei per condurre la sua battaglia e dare una testimonianza forte del valore del tema immigrazione.
Mentre Renzi decide di segnare l’immagine delle liste europee con la scelta delle donne capolista, lei, donna, sindaco, simbolo di una battaglia cruciale, non figura tra queste. Perché? Nessuno e, ahimè, nessuna del Pd ha risposto a questo interrogativo.
La vicenda di Giusy Nicolini aiuta invece a farsi una opinione sulla la scelta di Renzi di imporre, con un colpo di mano, cinque donne capolista.
Il significato prevalente appare quello simbolico (o propagandistico). Il PD doveva fare pace con le sue parlamentari, dopo la sconfitta alla Camera sulla presenza paritaria nelle liste bloccate. Doveva riparare. E ripara barattando un principio democratico, quello della pari rappresentanza, con cinque posti di capolista.
Nelle liste per le elezioni europee la parità nel numero e l’alternanza nella collocazione, tanto promesse riguardo l’attività di partito, dopo il voto negativo alla Camera sulla legge elettorale, non ci sono.
Però ci mettiamo le capilista. Le regole si possono violare, le promesse si possono smentire, l’importante che il leader di turno scelga qualche donna da mostrare.
Già Berlusconi ci ha purtroppo abituati a questo spettacolo.
È sufficiente questo per sanare la ferita del mancato riconoscimento del genere?
Mi auguro che le donne non ci caschino.
È vero, come afferma Lucia Annunziata su Huffington Post che uno dei problemi per le donne consiste nello sfondare verso l’alto “il muro di cemento” innalzato contro di loro. È vero che non dobbiamo cadere nella trappola di chiedere solo alle donne la tanto sbandierata “competenza”, di cui gli uomini hanno fatto tanto spesso a meno. Ho l’impressione però che ancora una volta si confondano le politiche di promozione, sostegno e azione positiva nei confronti di un genere, quello femminile, svantaggiato per ragioni storiche, sociali e culturali, nella competizione con l’altro sesso e la questione del riconoscimento, cruciale per la democrazia moderna, che i generi sono due e che entrambi vanno rappresentati, nella pluralità dei loro punti di vista. Le prime possono e debbono essere oggetto della iniziativa di partiti e movimenti, la seconda non può che informare di sé le regole fondamentali di funzionamento della democrazia e quindi le leggi della repubblica. La vera innovazione non sta in partiti o leader che nominano donne, ma in regole che offrano ai generi, e storicamente oggi alle donne, l’opportunità uguale di competere e quindi di potersi rappresentare autonomamente. Senza queste regole, le opportunità di cui Lucia Annunziata parla rimarranno nelle mani del leader di turno. E le donne e la loro promozione saranno usate o gettate via a seconda delle convenienze, come è successo nella discussione sulle regole elettorali.
C’è una differenza di fondo tra le quote garantite alle minoranze e il riconoscimento, nelle leggi che regolano la rappresentanza elettorale, dell’esistenza e della necessità di rappresentare i due generi (che, lo ricordo per comune memoria, attraversano tutte le altre differenze) di cui si compone l’umanità e quindi la cittadinanza.
Ma purtroppo né rappresentanza, né cittadinanza sono oggi monete che hanno corso nel mercato renziano. Vengono al contrario considerati lacci e vincoli che rallentano l’azione salvifica del premier. E un leader che vuole parlare direttamente ai cittadini non può sopportare differenze e articolazioni. E, in questo contesto donne conflittuali, autonome e dotate di volontà propria non sono previste.