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Gramsci, il lusso e la storia

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Certe volte è inevitabile parlare di se stessi nella forma più sintetica possibile. Ho insegnato per 39 anni nell’Università di Torino (da Storia d’Europa e Storia del Giornalismo a Storia della mafia negli ultimi due anni) di cui sono stato per sei anni preside di Facoltà e vicerettore per la didattica. Conosco e amo questa città, di cui conosco la bellezza e le virtù di quelli che la abitano in questo periodo di grave crisi politica, culturale ed economica del Paese e quindi anche della città. E, proprio per questo, ho detto al quotidiano La Repubblica (che me lo ha chiesto) che non vedo con l’entusiasmo del mio vecchio collega e amico Sergio Scamuzzi, che ora dirige la Fondazione Gramsci a Torino, la trasformazione di quella che è stata dal 1914 al 1921  la casa di Gramsci e, per un breve periodo, la redazione dell’Ordine Nuovo in un albergo a quattro stelle superiore che sarà inaugurato in pompa magna con tutte le autorità, a cominciare dal primo segretario nazionale  del PD e sindaco della capitale piemontese, on.Piero Fassino.

A meno che se le idee di chi scrive, non lontane da quelle proprio del partito democratico (o di una parte di esso, l’attuale minoranza) non coincidono con quelle del Comune, debba esserci – in omaggio a un pensiero unico – una vera scomunica. Vorrei spiegare perché non sono d’accordo. Se qualcuno sfoglia il mio ultimo libro che è una sintetica Storia dell’Italia unita dal 1848 al 2013 (a proposito, potrebbe presentarlo proprio la Fondazione, se non si offenderà per quello che ora  scrivo) si legge che sono stati Antonio Gramsci, Carlo Rosselli e Piero Gobetti ad ispirare il mio lavoro di studioso.

E, quando vado in giro a far relazioni di studio per convegni tra storici, parlano sempre di me come dello “storico torinese” ed io devo correggerli ricordando che sono un napoletano “oriundo”, come disse un padrone di casa quando a metà dei  lontani anni Sessanta, cercavo una casa in affitto.

Non ci sono quindi contrasti tra chi scrive e la città di Torino e i suoi abitanti in quanto tali. Tutt’altro. Ma non sono d’accordo sull’intitolare a chi è stato in Italia con la sua lotta politica e i suoi scritti ancora importanti e decisivi per l’Italia e per l’Europa (penso a idee come quella sul “sovversivimo delle classi dirigenti”, sulla “rivoluzione passiva” in Italia, sulle modalità della nostra unificazione nazionale” o ancora sul risorgimento e i problemi che ne sono scaturiti nella storia successiva, non escluso a suo modo il fascismo) un albergo di grande lusso in cui andranno i supericchi del vecchio e dei nuovi continenti.
Quella casa di Gramsci aveva ospitato, prima del suo arrivo, l’ex Albergo dei poveri ed è persino controproducente che oggi diventi, proprio quello un luogo di grande lusso (a Torino di spazio ce ne è tantissimo libero,  dopo la  crisi economica e industriale!).

Il collega Scamuzzi, che è l’attuale presidente del Corso di laurea in Scienze delle Comunicazione che chi scrive fondò un pò di anni fa, tra i primi in Italia, ricorda che l’immobiliare italiano-spagnola, titolare della concessione (un investimento di 30 milioni di euro per uno spazio di 30mila metri quadrati) osservando la nostra legge, è incerta tra intitolarlo al grande Camillo Benso di Cavour o a Gramsci. Personalmente preferirei l’intitolazione a Cavour che, per molti aspetti, rappresenta proprio alcune virtù fondamentali dei torinesi e dei piemontesi (basta aver letto il romanzo I Sansossi di Augusto Monti per esserne convinti) piuttosto che quelle di un uomo che ha dato la sua breve vita per lottare contro il fascismo e subire, per questa ragione, il carcere e la scomunica più o meno esplicita dell’Unione Sovietica del dittatore Giuseppe Stalin. E’ possibile che proprio a Torino si anteponga il lusso (magari sperando nel turismo straniero) alla storia della città?


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