Anja Niedringhaus (nella foto) aveva 49 anni e faceva fotografie da quando ne aveva 17. Aveva cominciato, lei tedesca, dalla caduta del muro di Berlino passando poi per tutte le guerre. Da anni frequentava l’Afghanistan, stavolta era a Khost, al confine con il Pakistan, per quello che doveva essere un servizio di routine, le elezioni presidenziali, e invece si è rivelato fatale. Un talebano con la divisa da poliziotto l’ha uccisa a tradimento davanti all’ufficio del governatore mentre una giornalista che era con lei, la canadese Katthy Gannon è stata ferita gravemente. L’attentatore è stato arrestato. Anja aveva una faccia molto dolce, ma soprattutto pieni di poesia erano i suoi scatti che hanno sempre documentato non solo l’orrore dei conflitti ma soprattutto il dramma delle popolazioni. Nel 2005 aveva vinto il primo Pulitzer per un reportage sull’Iraq. Era all’Associated Press dal 2002. E’ suo anche il famosissimo scatto del militare italiano diventato il simbolo della strage di Nassiryia. Ma non solo guerre: era stata in Italia anche per la morte di Giovanni Paolo II e per il G8 e memorabili restano alcune istantanee dei mondiali di calcio, azzurri compresi. Il museo di arte contemporanea di Francoforte le aveva dedicato una mostra, mentre l’università di Harvard le aveva commissionato un lavoro sulla condizione femminile in Occidente. Aveva un sito molto seguito (http://www.anjaniedringhaus.com/) mentre ora una marea di messaggi di cordoglio stanno occupando le sue bacheche su Facebook e su Twitter. E proprio su quest’ultimo social network aveva postato l’immagine del piccolo superstite della famiglia di un collega, l’afghano Sardar Ahmad, assassinato con tutta la famiglia a Kabul. Era successo a marzo, un mese tragico per i reporter: una settimana prima era stato ucciso lo svedese Nils Horner. Un prezzo molto pesante che stanno pagando i testimoni di una svolta storica che segnerà il dopo Karzai. Sono 38 i giornalisti uccisi in Afghanistan dall’inizio del conflitto, dodici anni fa: quattro solo quest’anno.