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Giovanna d’Arco e la santa Russia, Caffè del 25

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“Se Putin non si ferma, sarà sempre più isolato”, dice Barak Obama a Repubblica. Il presidente americano scommette sulla tenuta della “comunità internazionale”, ritiene che la rete dei rapporti economici e diplomatici con Europa, Cina, India, Sud Africa, Brasile sia tanto da sconsigliare alla Russia di arroccarsi in difesa dei suoi interessi nazionali.

Il meno che si possa dire è che Obama si sveglia tardi. Ha posto tardi la questione di Assad e non l’ha risolta, si è accorto tardi che la dittatura (democratica) dei Fratelli Musulmani non poteva rappresentare un esito accettabile per le Primavere Arabe, ha costretto tardi Israele ad acconsentire a un primo dialogo con l’Iran, e troppo tardi si è accorto che l’espansione economica e militare dell’Occidente verso le steppe russe stava mettendo in allarme la nomenclatura economica e militare a Mosca.

Le sue proposte per il futuro appaiono ugualmente contraddittorie. “Gli Stati Uniti non vedono l’Europa come un campo di battaglia tra Est e Ovest. Il popolo Ucraino non ha la necessità di scegliere tra Est e Ovest”. Perciò “è importante e significativo che l’Ucraina abbia buone relazioni con gli Stati Uniti, con la Russia e con l’Europa”. Sembra un’autocritica: non avremmo dovuto spingerci tanto ad Est con la Nato, saremmo dovuti intervenire prima, insieme alla Russia, perché l’Ucraina non fosse costretta “a scegliere” tra la sua anima filo russa e quella anti russa e filo tedesca. Invece no. Il capo della superpotenza definisce l’annessione, per referendum, della Crimea “inaccettabile intervento militare russo in Ucraina” e chiede che “il futuro dell’Ucraina sia deciso dal popolo dell’Ucraina”. Ma è tardi, ora che i Russi dell’Est temono i fascisti di piazza Maidan, ora che i democratici di Kiev sembrano tutti anti russi.

I giornali in edicola sono tutti, ovviamente, ricchi di analisi sulla “minaccia” francese all’Europa. “La Maschera del patriottismo”, Bernardo Valli per Repubblica. “Il trionfo della Dama Nera apre la strada agli euroscettici”, Cesare Martinetti per la Stampa. “Il disastro calmo” di Furio Colombo per il Fatto. Aldo Cazzullo e Jean Marie Colombani per il Corriere. Quest’ultimo, ex Direttore di Le Monde, dopo aver osservato, con giudizio come la sinistra di Hollande abbia perso le municipali e la destra “repubblicana” le abbia vinte, attacca i dirigenti di questa destra. “Quello che gli attuali dirigenti dell’UMP non hanno ancora capito è che esiste una grande differenza fra il parlare agli elettori del Fn, e parlare come il Fn. In un caso, ci si affronta, nell’altro si favorisce l’ascesa del Fn. Ebbene, questo secondo atteggiamento si è affermato a destra. I discorsi di Nicolas Sarkozy in particolare hanno reso porose le frontiere ideologiche fra destra ed estrema destra”.

Ciò vuol  dire – mi ripeto – che una prossima vittoria del Front National anche alle Europee può mettere in crisi la Quinta Repubblica francese, cancellando il bipolarismo voluto da De Gaulle e poi annaffiato da Mitterrand. “Vede – dice Marine Le Pen ad Alessandro Sallusti, con cui ha fatto colazione in un ristorante chic di Parigi – la novità è che solo un anno fa io non avrei potuto cenare qui. Alcuni mi avrebbero insultata, altri se ne sarebbero andati per protesta, disgustati dal fatto di dover cenare al mio fianco”. Vero, e non è più così.

Ora si riaffaccia, prepotente, un’altra Francia, sempre accuratamente tenuta sotto traccia. È quella di Jeanne d’Arc, campionessa anti sassone (che il Front National onora ogni Primo Maggio), è la Francia della Vandea, della campagna tradizionalista contro Parigi illuminista, è la Francia che “ha perso le colonie non perché non era più tempo di colonie ma perché De Gaulle la ha tradita”, la Francia che “Mitterrand non avrebbe dovuto tenere per mano Helmuth Kohl a Verdun, dove tanti francesi morirono per mano tedesca”, la Francia che “la colpa della perduta Grandeur è dell’Euro”. Già è soprattutto questo: la Francia del trasfert. A Beziers, Robert Menard, giornalista passato da Réporters sans frontiéres all’amicizia con Marine Le Pen, sarà probabilmente eletto sindaco al ballottaggio. Quella zona del sud est aveva puntato sul vino a basso costo: scelta sbagliata che ora paga. Dunque “la colpa è dell’Euro!” Le classi dirigenti locali, di destra e di sinistra erano troppo simili, dunque campione della libertà diventa il Fronte.

Ha un bel dire Grillo, ma le sue intemerate contro il Pdmenoelle somigliano a quelle di Marine contro l’UM-PS. Il transfert è il medesimo: abbiamo creduto al sogno berlusconiano (tutti ricchi e niente tasse) ed è andata male, dunque la colpa è dell’Euro. E del Pd che, colluso, non ci ha convinti che stavamo sbagliando. Peggio di Grillo solo Napolitano. Il rancore verso l’Euro, il ritorno dei legisti in Italia, in un Europa che riscopre Giovanna d’Arco e la Vandea e torna a dover fare i conti con la questione russa, sono la conseguenza di un’idea bigotta dell’Europa, dell’illusione di un governo degli ottimati (“tecnici”), dell’ostinazione con cui ha sostenuto le larghe intese.

Da corradinomineo.it


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