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Dimessa dall’ospedale, disabile muore. Dopo 7 anni la condanna, ma risarcimenti a rischio

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“L’inadeguata gestione del caso ha concorso al decesso della paziente. Ritiene il giudicante che la condotta dei sanitari della struttura convenuta abbia concorso in pari misura all’esito letale”.

E’ quanto si legge nella sentenza emessa pochi giorni fa dal Tribunale civile di Roma, che dopo sette anni, ha scritto la parola fine sul caso di Rosalba Forcellati, la donna di 55 anni morta la notte del 22 aprile 2007 dopo essere stata dimessa dal pronto soccorso dell’Ospedale San Carlo di Nancy, per le conseguenze di una polmonite mal curata.

Un caso, quello della Forcellati, già emerso all’epoca del decesso per il particolare stato della paziente, una disabile con un grave ritardo mentale. Rosalba non era in grado di esprimersi, di descrivere cosa provasse. Nonostante ciò, a dispetto della sua evidente vulnerabilità, la donna – che il mese precedente era già stata curata nello stesso ospedale per una bronchite – portata al pronto soccorso in evidente crisi respiratoria, fu dimessa perchè «l’esame obiettivo» delle sue condizioni era stato «di difficile esecuzione – si legge nel referto medico – per la mancanza di collaborazione della paziente». Parole che già sette anni fa per la madre e i due fratelli di Rosalba furono peggio di una coltellata.

Sarà difficile, però, che i parenti della vittima possano concretamente ottenere il risarcimento riconosciuto loro dal Tribunale. “Purtroppo c’è il rischio concreto che la condanna resti solo sulla carta, vista la difficile situazione del nosocomio romano” denuncia l’avvocato Francesco Lauri, rappresentante legale della parte lesa e presidente di Osservatorio Sanità. A maggio scorso infatti la Guardia di Finanza ha eseguito un sequestro per 6 milioni di euro a carico della Provincia Italiana della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, ente ecclesiastico proprietario e gestore dell’ospedale, da fine marzo 2013 in amministrazione straordinaria. “Abbiamo cercato di contattare i commissari liquidatori per tentare di capire se e come avrebbero onorato la sentenza – prosegue Lauri – ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta “.

Non nasconde la sua soddisfazione, nonostante l’amarezza, Eugenio Forcellati. “E’ una sentenza importante – dice oggi il fratello della donna – perchè afferma quello che abbiamo sempre sostenuto, ovvero che sussisteva l’obbligo da parte dei sanitari di trattenere mia sorella in osservazione, anche e soprattutto per la sua difficoltà ad esprimersi. Invece l’hanno rimandata a casa con una terapia di aerosol, rivelatasi completamente inutile”.


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