L’aggressione subita dal giornalista Paolo Orofino è l’ennesima prova di come sia difficile in determinate zone fare il proprio mestiere, con professionalità e scrupolo, nei confronti di chi ha il diritto ad essere informato. E’ scritto nell’articolo 21 della Costituzione e nel codice deontologico dell’Ordine. Lo schiaffo ricevuto ieri nella piazza del comune di Paola in provincia di Cosenza, davanti a decine di persone, mentre insieme ad una troupe del programma “Servizio Pubblico”( in onda su La7) guidata da Sandro Ruotolo, cercava d’intervistare l’avvocato Nicola Gaetano, indagato insieme al figlio dell’ex sottosegretario Antonio Gentile per le consulenze d’oro all’azienda sanitaria di Cosenza, non è un episodio da sottovalutare.
Evidentemente l’ inchiesta fatta da Paolo sulle pagine del Quotidiano della Calabria, hanno dato fastidio a qualcuno, persone che non hanno gradito la pubblicazione di tutta la vicenda, gente che non vuole fare emergere la verità su come sia organizzata e gestita la sanità pubblica in Calabria. Orofino è ciò che nel nostro ambiente viene definito un cronista da strada, che indaga e cerca nelle Procure documenti da leggere con attenzione, per poter ricostruire inchieste dell’autorità giudiziaria e farle conoscere alla pubblica opinione. Un lavoro che diventa sempre più ad alto rischio, anche quando sai che per quelle righe scritte ricevi la magra retribuzione di un corrispondente freelance. Già in passato si era occupato di casi pesanti, come quello dell’Istituto Papa Giovanni di Serra d’Aiello, la residenza degli orrori per malati di mente, dove sono scomparsi alcuni degenti; o del caso della nave Jolly Rosso, che si arenò vent’anni fa sulla spiaggia di Amantea. Un caso quest’ultimo che fu anche collegato a quello di Ilaria Alpi, il sospetto che trasportasse rifiuti speciali da smaltire nei paesi del Corno d’Africa, un’inchiesta che forse portò alla morte di Ilaria ed all’uccisione del comandante Natale De Grazia che su quella vicenda indagava.
Per tale lavoro Paolo Orofino ha ricevuto tante minacce e diverse querele che avevano un unico intento: quello di fermare il suo lavoro da cronista. Lavoro che invece Paolo ha sempre continuato con la passione di chi crede nel diritto inalienabile d’informare. Per questo non va lasciato solo, bisogna fare in modo che i riflettori siano sempre accesi su ciò che produce in quanto è un bene per la collettività non solo calabrese ma nazionale. E bisogna anche mantenere accesi i riflettori su ciò che avviene in Calabria, sono troppi i colleghi che negli anni hanno subito intimidazioni, a volte con l’auto data alle fiamme, a volte con delle bombe davanti casa. Per questo facciamo appello ai media nazionali affinché siano presenti su quei territori, non lasciarli soli dovrà essere il nostro impegno civile, per rispettare il loro.