Sesso e giovani. Stereotipi e racconti

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Ho letto con molta attenzione i due articoli di Beatrice Borromeo usciti sul Fatto Quotidiano recentemente sul tema del sesso e degli adolescenti. Rileggendoli mi rendevo conto che c’era qualcosa che mi turbava o comunque quanto meno me li faceva rileggere per cercare di capire cosa mi suscitassero. Ho diciotto anni, sono all’ultimo anno di liceo, osservo molto spesso i miei coetanei e soprattutto i “bimbi” di quarta ginnasio. Ci sono ragazze timide con le gote rosse e tonde che guardano i ragazzi grandi con curiosità e timidezza, ci sono quelle più intraprendenti che con disinvoltura mettono in mostra le proprie forme con vestiti provocanti o i propri modi di fare con gesti decisi e risoluti. La stessa cosa vale per i ragazzi; c’è chi è più timido e chi invece si comporta da leader, c’è chi viene visto come uno sfigato e chi invece viene considerato il più figo perché ha dei lunghissimi capelli rasta o un bellissimo sorriso. La realtà, anche in un liceo di Roma, è molto variegata. Sicuramente mi saranno sfuggiti molti aspetti, anche se passo la metà della mia vita in quell’istituto, perché non ho approfondito la questione del sesso facendo delle opportune statistiche, sondaggi o interviste.

Il sesso degli adolescenti è un tema molto delicato ma sempre nuovo, è giusto che se ne parli e che vengano raccolte delle testimonianze al riguardo. E’ una denuncia sociale che va fatta e che deve essere affrontata anche dai giornali. E’ un mondo ricco, complesso, e ogni ragazzo la vive in un modo diverso da come lo racconta. Per questo è importante fare le domande giuste per cogliere veramente quello che accade.

L’articolo della Borromeo comincia raccontando una scena di vita quotidiana di alcuni ragazzi di un liceo milanese che stanno facendo educazione fisica. Nel bel mezzo di una partita di palla a volo una ragazza di quinta ginnasio irrompe in palestra, entra nel campo urlando con le mani alzate, dichiarando che ha perso la verginità. “Reazioni? Non molte. La Prof l’ha guardata male, la maggioranza di noi l’ha ignorata e qualcuno le ha fatto i complimenti”. Queste sono le reazioni degli amici della nostra ragazza intraprendente, amici che la Borromeo ha definito “più o meno intimi”.

E’ Chiara, una ragazza del liceo, ancora vergine, che ci descrive la scena. Il sesso è un rito. Un rito che se non esegui entro un anno non puoi appartenere alla comunità, vieni emarginata, trattata come una sfigata. Alla fine dell’anno si fa la conta.

La prima domanda che mi è sorta è stata:” E’ moralmente sbagliato? Qual è il motivo per cui è nata la corsa allo “sverginamento”? Perché per Chiara, ancora vergine, tutto questo gioco è ovvio e scontato e ne parla in maniera distaccata, oggettiva senza alcuna vergogna? Qual è il contesto sociale del liceo? A Milano è normale interrompere una partita di pallavolo irrompendo in palestra urlando che si è stati “sturati” il giorno prima e ricevere dagli altri una reazione di quasi totale indifferenza? E’ interessante come scena, leggendola ho pensato ai film di Federico Moccia che presentano situazioni molto simili come in “Amore 14” o “Tre metri sopra il cielo”. La cosa che mi ha stupito è che nulla di tutto questo mi ha ricordato un contesto liceale che ho vissuto. Ma dunque Chiara, tu sei una di quelle sfigate o sei di quarta ginnasio e sei ancora in tempo?

E così continua l’articolo. Si dice che ai preliminari non si da alcun peso, insomma, Chiara ci fa capire che diventi popolare se racconti di avere avuto un rapporto sessuale “tradizionale”, mentre non conta nulla se hai fatto delle prestazioni sessuali a uno in discoteca che non conoscevi, mentre eri ubriaca o fatta. Già la parola popolare mi suona strana; viene usata tantissimo nei film ma, almeno nei due istituti in cui sono stata, non era frequente. La popolarità è qualcosa alla quale si fa raramente riferimento. Magari si sente dire “quello lo conoscono un po’ tutti” ma è difficile sentir dire “quello è popolare”. E qui Moccia mi ritorna alla mente con altri film come American Pie, serie televisive come The O.C. o comunque tutti i film dove si  parla di sesso, droghe e alcool. Chiara esprime anche dei giudizi sui ragazzi, definendoli inesperti. “Non sanno da dove cominciare” dice Chiara, almeno così le hanno raccontato le sue amiche, suppongo, vista la verginità dichiarata dalla fanciulla all’inizio dell’intervista. Ma perché, altrettanto, i giudizi non vengono espressi sulle ragazze? Tutte esperte e competenti? In quel liceo di Milano probabilmente sì.

“Scopare è come fumare una sigaretta, è una piccola trasgressione. Si fa per diventare grandi, per mostrarsi più mature, entrare nel gruppo più figo”. Continua Chiara dicendo che sono le amiche che ti spronano a perdere la verginità, tu in quanto ragazza devi stupire i ragazzi provandoci, loro non pensano nemmeno ad andare a letto, sei tu che devi fare la mossa decisiva.
Le parole di Chiara mi riportano alla mente ancora quei film che spesso si vedono in televisione dove giovani ragazze, dolci e ingenue, pur di farsi accettare da un gruppo di ragazze “facili”, si alienano, perdono loro stesse e la loro dignità, per “contare” qualcosa in quel contesto, e nel nostro caso, nel liceo milanese dove la Borromeo ha realizzato questo reportage.

Il solo fatto che l’articolo mi abbia rimandato a film che reputo di cassetta e al fatto che siano stati descritti personaggi e scene molto stereotipate, mi fa pensare che forse la nostra Chiara abbia riportato solo alcuni aspetti della sua realtà e/o che la Borromeo abbia assecondato tale visione parziale. In alternativa, stanno girando “Natale a Milano, liceali si torna” in quell’Istituto milanese. Anche nel mio liceo ci sono ragazze che a quattordici anni perdono la verginità, ma ogni gesto del genere ha una sua storia, alla base della quale ci sono dei movimenti psicologici dei ragazzi, che sono i primi che dovrebbero essere analizzati. I luoghi comuni che vengono descritti da Chiara sembrano mascherare una realtà sociologica e psicologica che viene omessa. Ma allora, mi domando, perché l’articolo della Borromeo mi riporta la mente di continuo a film di cassetta che un giornale come Il Fatto Quotidiano non esiterebbe a definire non di alto livello culturale?

Così prosegue parlando dell’orgasmo e del piacere che da queste giovani ragazze viene completamente subordinato all’atto sessuale, “Il sesso e il piacere non hanno proprio nulla a che spartire, nelle storie che raccontano Chiara e le sue amiche”. Scrive la Borromeo. E il lunedì? Il panico. Si sono usate precauzioni? Non viene ricordato, le ragazze erano troppo sbronze e incoscienti. Le soluzioni sono due: o si va in consultorio a prendere la pillola del giorno dopo o si prega che il ciclo arrivi.

Mi chiedo nuovamente, tutto questo è moralmente sbagliato? La giornalista ha voluto fare una denuncia sociale? Ho ripensato anche a quello che spesso si dice in giro riguardo ai giovani di oggi: “Sono precoci in tutto, fumano bevono e cercano di fare sesso quando e appena possono”. L’articolo della giornalista lo sta confermando descrivendo stereotipi che interagiscono tra loro creando situazioni altrettanto stereotipate, senza alcun pudore e vergogna di chi le racconta. Non esistono incertezze, debolezze, insicurezze, ripensamenti. E’ tutto normale, si finisce la terza media e s’inizia il rito. E’ tutto ovvio, scontato. Le protagoniste non si sentono mai un po’ confuse? Si seguono religiosamente degli schemi, quasi matematici, dei principi inviolabili senza alcuna esitazione. La loro realtà materiale supera di gran lunga quella mentale, e non solo viene descritta in maniera consapevole e scientifica, ma niente viene vissuto come se fosse qualcosa di nuovo. Continuo a non capire.

Ma non è finita qui, è stata anche raccolta la testimonianza di Mattia, quindici anni, ancora vergine (anche lui), che è stato appena mollato dalla ragazza di quattordici anni via SMS (questo posso confermare che succede spesso anche nel mio mondo). Il nostro nuovo protagonista insieme ai suoi amici ci spiega come sia difficile gestire le relazioni con le ragazze aggressive e intraprendenti che vogliono portare a letto i ragazzi a tutti i costi velocemente per poi, eventualmente, parlare male delle prestazioni maschili con le loro amiche. L’ex ragazza di Mattia si dimostra più che intraprendente: dopo averlo lasciato, ad una festa dove erano entrambi, ubriaca, urlava davanti a tutti se qualcuno volesse fare del sesso orale con lei, per poi partecipare ad un orgia al piano superiore. Mattia, schifato da questa esperienza, ci descrive qual è la sua donna ideale. E’ qui che mi salta agli occhi una incongruenza:. “Mattia non è il tipico liceale: beve poco, non fuma, è ancora vergine e soprattutto gli fanno schifo quelli che escono con una tipa solo perché ha un bel culo. Lui vorrebbe che la sua ragazza fosse dolce, possibilmente simpatica, che le piacesse la sua stessa musica, metal soft, che condividesse i suoi ideali. Poi certo, dev’essere carina, però non è quella la priorità” La contraddizione sta nel dire che Mattia “non è il tipico liceale”. Il “tipico liceale” è dunque uno che beve molto, fuma dalla mattina alla sera e che vuole portare a letto le ragazze belle e stupide, per poi buttarle via? Ma non era stato detto che i maschi sono inesperti, vivono nel terrore di essere presi in giro da quattordicenni senza inibizioni che non possono non perdere la verginità entro un certo lasso di tempo? Penso che sia stata fatta una generalizzazione e generalizzare su un singolo caso è un errore. Anche Mattia rappresenta un altro stereotipo: si rifiuta di andare a letto con una ragazza assatanata che vuole subito “concludere”, per lui c’è differenza fra sesso e amore, l’atto sessuale è un gesto importante.

Io continuo a rimanere molto perplessa: continuano a mancare degli elementi per capire il fenomeno. Siamo sicuri che questi ragazzi dicono la verità? Mattia, descritto come un giovane Johnny Depp dai capelli lunghi, non ha magari cercato di suscitare l’ammirazione dalle ragazze che stavano lì intorno a sentire l’intervista? Mattia spiega inoltre che non tutte le ragazze sono “sciacquette”. Ovvio, non tutte le ragazze di quel liceo possono essere delle ninfomani indemoniate. E i genitori? Quanto sono presenti nelle vite dei ragazzi? Perché la mia generazione appare nell’articolo della Borromeo come una generazione di adulti precoci, senza degli adulti veri alle spalle? C’è poco di adolescenziale nelle parole di Chiara e Mattia. Non ho mai avuto la sensazione che all’interno dei due licei che ho frequentato ci fossero dei ruoli sociali fissi da interpretare. Nella mia realtà le situazioni sono molto dinamiche, per essere accettati in un gruppo le variabili sono infinite e cambiano continuamente a secondo delle persone che fanno parte di quel gruppo. Le ragazze descritte dalla Borromeo sembrano delle donne adulte sicure di quello che fanno e che di fronte alla prima esperienza importante di interazione con l’altro sesso violentano prima loro stesse e poi si fanno sverginare con facilità. Sono ragazze deboli? In che realtà vivono? Perché la giornalista non ha contestualizzato le sue interviste? I lettori potrebbero raffigurarsi una realtà stereotipata e più semplice di quello che è la realtà dei giovani. Questa è molto più complicata e, formata da tante paure subdole, giochi che si creano, s’interrompono, voci che girano, si dileguano, altre dicerie che si creano… Per questo mi stupisce la scena della ragazza che entra in palestra urlando di essere diventata una donna sessualmente matura e altrettanto sorprendente è la reazione quasi indifferente dei suoi coetanei. Non esiste il pentimento per le giovani assatanate del liceo milanese? Esisterà, ma perché nell’articolo non si parla di questo aspetto fondamentale della psicologia dei giovani?
Mattia (bevendo un succo di pera, non il caffè, lui è alternativo ndr) ci descrive anche la tipologia di ragazzo che, secondo lui, ha successo con le  assatanate del liceo milanese: il ragazzo “truzzetto” con i pantaloni a vita molto bassa e i boxer che si intravedono; capello corto o testa rasata; cappellino da rapper, atteggiamento arrogante. Ops, un altro stereotipo.

Come conclude l’articolo della Borromeo?? Dicendo che l’otto marzo le mimose le apprezzano più le professoresse che queste giovani donne vissute.
Ma perché solo stereotipi, formule di successo o fallimento? Sembrano dei calcolatori di ultima generazione. Magari nella realtà italiana ci sono situazioni anche peggiori di questa. Su un tema così delicato bisognerebbe fare delle statistiche, andare in diversi licei d’Italia, fare delle interviste non solo a ragazzi ma anche a psicologi, psichiatri, docenti, intellettuali… magari tutti molto giovani così le generazioni sono meno distanti per interpretare il fenomeno in modo più ampio. Nel leggere l’articolo della Borromeo mi è venuto in mente il documentario “Comizi d’Amore” di Pier Paolo Pasolini che, tra l’altro, ho visto grazie a un articolo del Fatto Quotidiano di molti anni fa che ne parlava e lo consigliava. Ritengo che quella del documentario sia stata, per quei tempi, una forma efficace di interpretazione e denuncia sociale. Può avere la stessa funzione un’inchiesta isolata? Continuerò a pensare e a cercare di capire.


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