Calcio e omosessualità, sport e comunità lgbt, è un dibattito che va avanti almeno da quando c’erano in Grecia i giochi olimpici: si gareggiava nudi, le donne erano escluse e si dava per scontato che tra atleti e allenatori ci potesse essere qualche scappatella. Com’è successo che invece la questione gay sia diventata mediaticamente centrale persino nelle ultime olimpiadi di Sochi? La verità è che lo sport, e il calcio in particolare, negli ultimi secoli è stato il luogo di elezione della prestanza, quindi del potere maschile per eccellenza. E maschile per la cara vecchia borghesia voleva dire rigida eterosessualità per evitare fraintendimenti e peggio ancora tradimenti della mission maschilista.
Il maschilismo dominio nel calcio lo dimostrano i mancati coming out (il dichiarasi) di moltissimi giocatori, anche molto noti, anche strapagati, con la doppia vita, quella gaya, nascostissima. Sembrava impossibile che una squadra di calcio volesse avere a che fare con la questione lgbt e invece qualche anno fa il Manchester City si iscrisse all’elenco delle imprese gay friendly curato dall’organizzazione lgbt inglese Stonewall.
A rompere il ghiaccio in Italia è stato l’allenatore della nazionale Prandelli che nel bel libro di Cecchi Paone ha detto chiaro e tondo che l’omofobia è razzismo. Altri prima di lui avevano detto ben altro, come Lippi per il quale l’omosessualità nel calcio non esiste e se esiste lui non l’ha mai vista. O come Scolari che avrebbe fatto volentieri epurazioni di massa. Per andare ancora più indietro possiamo citare l’allora moglie del fu presidente di AN Gianfranco Fini, la signora Daniela, patita laziale, secondo la quale i gay non potevano essere calciatori perchè troppo effeminati e poco virili. Le risposi, in una mitica diretta alla trasmissione Caterpillar dalla camera dei Deputati che se si toglievano gli omosessuali dalla nazionale il campionato non si sarebbe potuto giocare. E come non ricordare dichiarazioni di Gattuso e Cassano che avevano giustamente sollevato il polverone mediatico.
Ne parlai con Matarrese, presidente della Federazione Gioco Calcio, il quale promise una iniziativa contro l’omofobia negli stati. E non se ne fece nella. Ma poi le cose cambiano, AN non c’è più e persino il mondo del calcio è cambiato al punto che molti giocatori e persino qualche squadra hanno aderito in questi giorni all’iniziativa della Fondazione Cannavò e Paddy Power con l’adesione dell’Arcigay e Arcilesbica alla campagna sui “laccetti arcobaleno” (“Chi allaccia ci mette la faccia”) come fatto simbolico contro l’omofobia nella società e nello sport.
Il primo ad “allacciarsi” è il giocatore Dessena che scende in campo a San Siro con i lacci rainbow. Il giorno dopo viene sepolto da una valanga d’insulti online. Lui incassa, si arrabbia ma non molla. Lo segue la Juve Stabia, tutta la squadra si mette i laccetti e poi altri giocatori. Allo stadio di Bologna viene esposto uno striscione di 5 metri in collaborazione con il Cassero “diamo un calcio all’omofobia”. Fino alla presa di posizione ufficiale della Federazione per l’amichevole in Spagna di mercoledì prossimo. Allo stadio Calderòn, di fronte ai campioni del mondo, gli azzurri avranno a disposizione i lacci colore arcobaleno. «In questo modo – dice il presidente federale Abete – vogliamo ribadire la sensibilità e l’impegno civile del calcio italiano, di atleti e tecnici che indossano la maglia azzurra, attraverso atti concreti in grado di testimoniare anche i valori sociali che lo sport deve rappresentare e nei quali crediamo fortemente».
Vedremo in quanti indosseranno il lacci rainbow in terra spagnola. Sta di fatto che la campagna è finalmente partita anche grazie a Repubblica che l’ha sostenuta. Peccato che sia capitata in un periodo dove altre notizie, come la formazione del nuovo governo o la tragica escalation del rischio guerra civile in Ucraina, hanno un pò coperto l’avvenimento che però è stato citato da alcuni tg ed anche dalla trasmissione “quelli che il calcio” di domenica scorsa. Per essersi vista si è vista, ma meritava molto di più e speriamo che non sia il solito fuoco di paglia.
Intanto ricordiamo il primo vero coming out di un calciatore di una squadra i taliana che è stato quello dell ex laziale Hitzlsperger, mentre il primo in assoluto ad ammettere la propria omosessualità fu Fashanu nel 1990 provocato dal suo allenatore, Brian Clough. In seguito venne rifiutato da tutti anche dalla famiglia e persino dal fratello: si impiccò 8 anni più tardi, inseguito da insulti spaventosi, persecuzioni omofobe e incomprensione generale. Ora anche lo sport sembra cambiare e non essere più il luogo d’elezione dei pregiudizi e degli stereotipi. Chissà che lo spirito di Olimpia non torni a farsi vivo, magari un pò modernizzato e cioè senza nessuna esclusione per nessun motivo che non sia di decubertiniano “partecipare”.