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Perché Matteo piace a Silvio

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Sandra Bonsanti

Ma perché Matteo Renzi piace tanto a Silvio Berlusconi?
Perché l’opposizione di Forza Italia al governo Renzi appare assai più un convinto sostegno del sostegno ufficiale di grande parte del Pd?
E’ questa la domanda che agita le riflessioni di tanti cittadini, sul web e nei discorsi che ci scambiamo alla fine di questa lunga diretta televisiva sulla fiducia. Un anno fa oggi, Bersani era ufficialmente il perdente delle elezioni. Il suo destino si trascinò per una lunga attesa, poi venne Letta. Nel frattempo Matteo Renzi studiava: sia il partito, sia in genere il panorama politico della opposizione. Sono stati per il sindaco di Firenze mesi di guardarsi attorno, di osservare la situazione. Si è mosso da stratega deciso a non perdere “l’occasione” che vedeva profilarsi nella grande incertezza che regnava. Il suo sguardo indagatore era rivolto dunque sia all’esterno del Pd sia all’interno. Che cosa ha visto alla fine che lo ha convinto a fare il passo più sgradito, cioè accoltellare da segretario il presidente del consiglio del suo stesso partito?
Una prima risposta l’ho trovata nell’intervento per dichiarazione di voto del senatore Paolo Romani che sembrava scusarsi di non poter dare la fiducia: “… il confronto positivo che è nato tra due forze maggioritarie nel Paese e i rispettivi leader ha dato un segnale forte del fatto che un netto e condiviso bipolarismo può avere finalmente cittadinanza nel nostro Paese. Questo testimonia il venir meno dello storico pregiudizio tra centro destra e centro sinistra e può dare davvero il senso della nascita di quella che potremmo chiamare la Terza Repubblica. E’ un pregiudizio che si è tradotto per troppo tempo, in una tanto presunta quanto ridicola superiorità culturale e morale da parte della sinistra, fino a diventare un rabbioso e ottuso antiberlusconismo. Non lo accettiamo, non lo abbiamo mai sopportato e non intendiamo più tollerarlo. Siamo orgogliosi della nostra storia, dei nostri lavori, e delle nostre radici culturali… Forse questa è la volta buona perché due leader, come lei e il presidente Berlusconi, possano stimarsi, parlarsi, confrontarsi, scambiare le reciproche esperienze e i diversi progetti e possano collaborare per il Paese senza pregiudizi, senza scambi o poltrone, con il solo interesse del bene comune. Forse, come dice lei, presidente Renzi, è davvero la volta buona…”. A seguire la solita litania contro la sinistra giustizialista.
La citazione è un po’ lunga, ma siccome Romani parlò a tarda sera, forse è utile ricordare bene le sue parole.
Dunque, la Terza Repubblica, in cui finalmente l’antiberlusconismo “rabbioso e ottuso” non ci sia più. In sostanza il riconoscimento, finalmente, da parte degli ex avversari, di un Berlusconi leader politico “normale”.
Questo è ciò che serve alla destra italiana e al suo capo condannato dalla giustizia e sotto processo per odiosi reati. Alcuni ritengono che questo riconoscimento Renzi lo abbia conferito nell’invito al Nazareno, altri non sono di questo avviso. Certo è che il Cavaliere e i suoi uomini si ritengono oggi accreditati ad annunciare la nascita della Terza Repubblica.
I rapporti tra il presidente del Consiglio e Berlusconi sono avvenuti solo in parte alla luce del sole: al Nazareno, sì, ma poi anche nei cinque (?) minuti del faccia a faccia alla fine dell’incontro fra le delegazioni. E soprattutto con il lavoro intenso dell’amico fiorentino Denis Verdini. Un primo risultato concreto si è visto alla formazione del governo, con l’arrivo dell’amica Guidi in un ministero così “interessante” per il Cavaliere e con la cancellazione di Nicola Gratteri dal ministero della Giustizia.
Ma Renzi non ha guardato soltanto verso la destra del Cavaliere. Ha avuto modo di studiare bene il suo partito e ha fatto una piacevole scoperta: una sorta di mutazione genetica si era presa buona parte dell’anima del Pd e lo aveva reso simile, molto simile, ai craxiani di una volta. Il presidente della Repubblica migliorista completava piacevolmente lo scenario.
Ecco dunque la novità di questo governo. “Le regole si fanno con tutti” è il ritornello di Renzi. Con tutti, sì, quando “tutti” vuol dire coloro che le regole le riconoscono, le rispettano. La Costituzione si cambia con chi rispetta, prima di tutto, i principi stessi della Costituzione: con chi vuole aggiornarla e attuarla; non con chi da sempre la insidia e vuole distruggerla secondo le indicazioni della finanziaria J.P. Morgan.
Se questa è la Terza Repubblica, vorrei dire ridateci la Prima. Ma non lo dirò, ovviamente. Anche se non ho potuto fare a meno di andare con la memoria di cronista a una scena che avvenne mentre si votava presidente della Repubblica Sandro Pertini. Su un divano del Transatlantico avevo visto Pietro Nenni, solitario e imbronciato. Mi avvicinai e gli chiesi. “Onorevole, è venuto a votare per il suo vecchio amico?”. Sapevo che fra i due padri della Patria non c’era mai stato vero amore. Infatti Nenni mi rispose: “Sono venuto a votare e basta”.
Altri personaggi, altre storie. Ma quanti, in questi giorni, tra deputati e senatori sono andati a votare “e basta”? E fino a quando?

Da libertaegiustizia.it


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