Non ho mai pianto e riso insieme così tanto. Francesco Di Giacomo, una delle voci più belle della storia del pop-rock italiano, aveva un cuore grande ed era una spalla formidabile, nel senso comico e filosofico della vita. Mi aveva adottato. Undici anni fa, prima di conoscerlo, sulle pagine degli Spettacoli di un quotidiano, scrissi che era il “barbone” più elegante della scena musicale. Non l’aveva dimenticato e, quando per la fretta usciva con il maglione sbagliato o la camicia non stirata, lo ripeteva alla sua amata Antonella: “Sai cosa ha scritto Timi di me? Cercava la mia complicità, specie da quando la grande famiglia di “Stradarolo” (il meraviglioso Fesival di “arte su strada” di Zagarolo e Genazzano ideato e diretto dai Tetes de Bois) mi aveva accolto, e mi diceva: “tanto prima o poi, dopo una bella cena, a Satta je meniamo tutti insieme!”. Ecco, appunto, Andrea Satta, al mio fianco, rimasto senza padre, il 21 febbraio 2014, per la seconda volta. Andrea guardava a Francesco come a un faro, come a un gigante buono che splendeva e che doveva splendere ad ogni costo, ma anche come a un bambino “con la barba piena di zucchero a velo”. Insieme sembravano Tom e Jerry, nei loro occhi il guizzo e il furore, la lampadina che si accende e improbabili impalcature che crollano e, sotto, loro due che, resistenti a tutto, si proteggono non perdendosi mai di vista.
Una coppia nella vita, ma anche in un film di Agostino Ferrente, che ne racconta il sogno e l’ironia, purtroppo interrotto dai meccanismi della produzione…
Quel poco che ho descritto spiega il perché di tante acrobazie, la voglia di dare a Francesco sempre il piedistallo più alto, la ribalta metafisica che ne mostrasse inequivocabilmente il genio e la sregolatezza, la forza magnetica e il dolce sguardo, il piglio intriso di animo popolare e il dettaglio del fuoriclasse, le sue comiche incazzature e la sua repentina capacità di recuperare con ironia. Nel 1994, il 14 luglio, ad un anno dalla morte di Leò Ferré, Andrea chiese a Francesco di presentare il primo cd autoprodotto dei Tetes de Bois. Era un disco dedicato ai loro amori francesi, primo fra tutti Léo.
Nel 2001, di nuovo insieme, sulla Ferrovia dell’Allume, il paesaggio lunare della Tuscia, impreziosito da piccole stazioncine liberty abbandonate. Francesco questa volta, era su un bidone di benzina, piazzato sui binari della fermata fantasma di Civitella Cesi, provincia di Viterbo, a leggere “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. In un’altra stazione del percorso, nel 2007, ad Allumiere, per una tappa del tour “Avanti Pop”, a raccontare la magia del tempo e dell’umanità sul cassone di un Ape verde petrolio.
Di nuovo, nel 2007, sul tranvetto del 1924 che, dalla Stazione Termini, attraversando la periferia est di Roma, dal Mandrione al Pigneto, al Casilino, fino a Pantano Borghese, ben oltre il Racconto romano, dove forse un giorno vedremo comparire la moderna metropolitana, Francesco, alloggiato nella sua postazione in carrozza, leggeva Pasolini per uno spettacolo della Notte Bianca, che i Tetes, con la solita testa situazionista, hanno chiamato “Tramiamo”.
Una postazione “Di Giacomo” era sempre prevista a Genazzano, durante “Stradarolo”, dove, capando cicoria e fagiolini per le signore dei vicoli, declamava Trilussa. Ricordo Francesco inseguire Andrea sul ponte “tibetano” in val Di Fassa, in una scena del “Film a pedali”, cui accennavo prima, tra le macerie dell’Aquila, sull’ammiraglia della Transumanza a pedali, seduto come il Dalai Lama su un risciò pedalato da Andrea che, dopo pochi metri dalla partenza, non avendo calcolato la larghezza posteriore, ha finito la sua corsa incastrato nell’uscita della Fortezza Da Basso di Firenze.
Nel settembre del 2004, al concerto dei Tetes de Bois, in piazza dei Cinquecento a Roma per la rassegna Enzimi, Francesco preferì quello di Fiuggi di Lou Reed e Patti Smith. Ma anche in quel caso, non riuscì a recidere il cordone ombelicale con Andrea che gli chiese un collegamento telefonico per intonare “Perfect Day” durante l’esecuzione di Lou Reed, e condividerne l’emozione con il pubblico della piazza romana. Al campetto dello sport di Fiuggi sui cellulari nessuna rete, tutti improvvisamente a cercare di fare da antenna, al buio, a frugare nelle borse degli amici per trovare quella tacca in più.
Alla fine si fece, con il telefonino di Maria Cristina, che forse aveva Tim. E anche quella volta, Andrea potè dire “l’amico mio c’era” e Francesco diventò amico anche di queste tre sognatrici di Radio Rai, la Pinto, la Zoppa e la Malantrucco, e con una, in particolare, avrebbe condiviso la “sventura” di ritrovarsi Andrea Satta sul proprio cammino. Nei giorni a seguire, Francesco mi chiese almeno cinque volte di ringraziare la mia collega per aver tirato fuori dal sacco quel cellulare provvidenziale. Noi non finiremo mai di dire grazie a lui per aver tenuto a battesimo il nostro programma “Scherzi della memoria”, in onda per diversi anni nella notte di Radiouno.
Caro Francesco, solo il cielo non era pronto, e le condizioni meteo non permisero ai tuoi amici di sollevarti più di quanto avresti mai potuto immaginare.
Sarà per le tue “lanose gote”, ma so cosa vorresti dirmi in questo momento, sfranta per il tuo ultimo volo: “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.