Cari caffeomani, che dire? Matteo Renzi è passato al Senato con una facilità imbarazzante, come un coltello affonda nel burro. Non ha spiegato perché sia cambiato lo schema: prima voleva cambiare verso alla politica, ricostruire un rapporto con i cittadini elettori per poter cambiare l’Italia, ora promette di cambiare l’Italia usando la vecchia politica. È così e più non domandare. Però, ha aggiunto, se qualcosa non andasse, la responsabilità sarebbe solo mia. Applausi. Il corpo del Re offerto per sanare i mali del regno.
Non ha presentato un programma, in linea con il saggio domenicale pubblicato da Repubblica. La coppia destra sinistra non si declina più sul binomio di Bobbio uguaglianza disuguaglianza. Ma sulle antinomie di Blair: aperto chiuso, avanti indietro, innovazione conservazione. I contenuti verranno, se c’è il metodo. L’importante è il movimento e, dopo anni di stagnazione, la velocità del movimento. Intanto il premier promette di visitare le scuole d’Italia, dalle Alpi a Lampedusa, per star vicino ai problemi. È già qualcosa.
Ha parlato a braccio, poi, paziente, ha ascoltato per ore, naturalmente senza rinunciare al telefonino né ai messaggi. Alla fine ha approfittato della stupidità di due senatori del Gal e della Lega Nord che gli lanciavano un assist “non si parla così in Senato”, per ribattere: il doppio registro non fa per me, siete voi che vivete fuori dal mondo. Come dargli torto! Spavaldo, ha ricordato ai presenti che per loro era suonata la campana: non sarete più eletti in quest’aula. Poi ecco lo zuccherino: con me a Palazzo Chigi, se farete i bravi, durerete fino al 2018.
Dibattito senza storia. Con la senatrice Repetti di Forza Italia che, adorante, gli augura ogni bene. Matteo, reincarnazione malheuresement gauchiste del Grande Innovatore, perseguitato e infine decaduto. La senatrice Bianconi, Nuovo Centro Destra, che non vuole lasciarlo solo: no Presidente, se non riusciremo insime, andremo a casa tutti, non solo lei. Simul stabunt simul cadent. La senatrice Taverna, a 5 Stelle, tanto idiota da far trasparire, tra insulti e frasi sconnesse, il suo, il loro smarrimento: il premier extra parlamentare gli ruba la scena, gli toglie il mestiere, strizzandogli l’occhio (“vi abbraccio tutti). Poverini, noni sanno che fare e ululano alla luna.
Si è presentato con tre maggioranze, Matteo Renzi. Una con Alfano, non più vice Premier ma sempre comodamente insediato nei “suoi” ministeri (Interno, Sanità, Infrastrutture). La seconda con Berlusconi, per le “riforme”, ma da usare per far star “buonino” l’ex delfino notoriamente senza quid. La terza, alla bisogna, con Beppe Grillo, per minacciare la “casta” di suicidarla, se non si metterà a trottare nel verso giusto. Il più extra parlamentare dei premier intende usare il Parlamento nel modo più spregiudicato, alla maniera antica di un Depretis e di un Giolitti.
La sinistra dell’emiciclo, letteralmente senza parole. Come travolta dal movimento del mago Helenio Herrera. E quando qualcuno, in modo molto educato, osa suggerirgli qualche contenuto, “va bene la riforma dell’ordinamento giudiziario, ma forse ci vorrebbe qualche norma anche contro la corruzione”, Matteo il piè veloce salta giù dal banco del governo e va a stringere la mano di Felice Casson.
Ho detto sì alla fiducia senza nessun imbarazzo. La sinistra che si volge a guardare all’indietro, che piange sulla purezza perduta e sui contenuti dispersi, finirà pietrificata. In un anno, dalla non vittoria, ai 101, al pellegrinaggio in ginocchio da Napolitano, alle larghe intese, fino alla decadenza di Berlusconi e al fallimento di Letta, il Pd si è dissolto. Ora esiste il partito di Matteo Renzi.
Se una sinistra vuole ancora esistere, che smetta di piangere e guardi al futuro. Sfidi il premier sui diritti, la lotta alla corruzione, le proposte per stare in Europa. Ingaggi una lotta a morte, culturale e politica, contro Grillo e Casaleggio, che sono il peggior lascito di Berlusconi, gli untori che prima sguazzavano nel sogno liberista e, dopo la peste della crisi, si aggirano torvi promettendo l’apocalisse. Ma accetti, la sinistra, di essere radicale. Non si rassegni a un etica a intensità variabili, non si accontenti di spendere una lacrima passando accanto al disoccupato ma gli offra un salario di cittadinanza e uno minimo garantito. Come in Germania, visto che parliamo d’Europa.
Non ho potuto prendere la parola, ieri in Senato, perché altri avevano cose più importanti da dire.