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GazzaBet? No, grazie

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Quasi tremila firme in calce all’appello del Comitato di Redazione, la presa di distanza dell’Ordine Nazionale che sottolinea dubbi sulla compatibilità deontologica, la contrarietà del sindacato del Lazio. Un coro di “no” si è sollevato contro il progetto “GazzaBet”. Ma di che cosa si tratta?  Di un’agenzia di scommesse sportive online interna al gruppo RCS, ma gestita da un operatore esterno, sfruttando il marchio e il nome “Gazzetta” (diversi bookmakers già presenti in Italia e nel mondo hanno nomi composti con la parola “bet”, “scommesse”). L’iniziativa ricorda quella intrapresa dal quotidiano sportivo spagnolo Marca, anch’esso di proprietà di RCS. Se fosse confermato il progetto dovrebbe prendere avvio prima del Mondiale di calcio in Brasile.

Nonostante le rassicurazioni dell’amministratore delegato Pietro Scott Jovane (“tutti gli editori di prestigio, se hanno i migliori giornalisti di settore, possono testare modelli di interazione con il pubblico, come ad esempio Marca in Spagna. Si tratta di un’opportunità di assecondare i desideri dei lettori e la verità è che noi siamo fiduciosi che distingueranno i diversi ruoli”) i giornalisti e La Gazzetta dello Sport hanno tutte le ragioni per essere preoccupati. Il mondo delle scommesse, come testimoniano le varie inchieste penali che ancora stanno scuotendo il mondo del calcio, è il classico settore ad alta densità mafiosa, per l’opacità delle società che vi operano (molte risiedono in Paesi a scarso controllo di legalità) e per l’enorme massa di denaro contante che mobilizza.

Ma l’iniziativa si presta a considerazioni critiche anche per l’impatto decisamente negativo sul consumatore di informazione sportiva. Immaginate quanti dubbi possano sorgere sull’oggettività di commenti o, peggio ancora, di notizie legate ad eventi che saranno poi oggetto di scommesse, in questo caso internazionali. “Perché quel giocatore inizialmente dato in formazione, poi non ha giocato?”, “non sarà sospetto quel rigore dato a tempo scaduto a una squadra che partiva coi favori del pronostico e poi si trovava in svantaggio? E perché il giornalista non lo segnala?” E potremmo proseguire all’infinito. La crisi dell’editoria, fenomeno ormai internazionale, spinge gli editori a percorrere inusuali sentieri, battendo piste spesso improvvisate pur di riequilibrare i conti in rosso della carta stampata in particolare. In questo caso, però, la strada scelta è rischiosissima e come conseguenza può avere quelle di avvelenare la fonte primaria su cui si basa il rapporto fra produttori e consumatori di informazione: la fiducia.

Il rischi vale la candela? Direi proprio di no. Per quante risorse si possano introitare attraverso questo meccanismo, è certa la possibilità che un mondo, come lo sport, già così soggetto alla devianza (doping, invadenza della politica, scommesse illegali ecc) finisca per essere percepito come totalmente inaffidabile anche sul versante di chi dovrebbe essere il “cane da guardia” dei suoi valori fondanti: onestà, pari opportunità, trasparenza. Allargando poi il ragionamento alla parte industriale e produttiva, questo progetto segnala come gli editori continuino a battere la strada dei ricavi facili e veloci (a cominciare dalla non ancora sepolta politica dei tagli ai costi, soprattutto quello del lavoro). Su questo versante GazzaBet rappresenta un salto di qualità nel modello di business: mettendo assieme due attività, le scommesse e l’informazione, che più distanti non potrebbero essere dal punto di vista etico e filosofico. Occorre invece fare un punto serio sul mercato dell’informazione e battere sì la strada dell’interazione col pubblico (ormai imposta dal web) mantenendo però un alto profilo di qualità e credibilità. Le scorciatoie come GazzaBet destrutturano il ruolo del giornalista e dell’informazione, che vengono qui viene relegati a quello di supporto a un business che nulla ha anche fare con la professione e la sua valenza sociale.

* Segretario Asr


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