La Rai ha 60 anni e li dimostra tutti. I primi 50 furono all’insegna dell’editto bulgaro: l’accusa di aver fatto un uso criminoso della tv da parte di Berlusconi nei confronti di Biagi, Santoro e Luttazzi (2002), con l’imprevisto che allo scoccare del compleanno (2004) una giuria, composta dai critici tv delle varie testate, decretò “il Fatto di Enzo Biagi”, uno dei programmi incriminati, il migliore dei primi 50 anni della Rai. Il simbolo di questi ultimi dieci anni è stato il conflitto d’interessi e la sua esasperazione, nel silenzio totale dei partiti. Né Prodi, né Monti, né Letta, i governi che si sono alternati con quelli del Cavaliere, hanno avuto il coraggio di proporre una legge che lo regolamentasse. Ancora oggi il potere di Berlusconi, nonostante sia un pregiudicato condannato definitivamente, continua a determinare le scelte strategiche nel settore delle Comunicazioni all’interno del ministero dello Sviluppo economico, attraverso gli uomini a lui devoti, cominciando dal vice ministro Catricalà per finire con i direttori dei dipartimenti.
Altro simbolo di questi dieci anni è stato il famoso “Beauty contest” voluto dal fedele ministro di Sua Emittenza, Paolo Romani. Invece di pensare ad una regolamentazione del far west delle frequenze, e come hanno fatto gli altri paesi europei, ad una seria asta che avrebbe portato un bel po’ di soldini nelle casse dello Stato, il duo Romani-Berlusconi ha deciso, sempre nel silenzio generale, la distribuzione gratuita di frequenze d’eccellenza a Mediaset, Rai, La7, e poche altre tv con determinate caratteristiche. In questi dieci anni la situazione si è incancrenita a causa di una lenta ma inesorabile opera di normalizzazione causata da leggi ad personam come la Gasparri che ha completamente bloccato il mercato impedendo quella libertà promessa con l’arrivo del digitale terrestre che avrebbe dovuto aumentare i poli televisivi.
La Rai è riuscita a perdere molto della sua identità grazie ad una serie di scandali dovuti a persone messi all’interno della Rai direttamente da Berlusconi: la condanna per la nomina di un direttore generale, Meocci, innominabile per incompatibilità di legge, ma Berlusconi voleva lui e consiglieri di amministrazione del centrodestra Staderini, Urbani, Bianchi Clerici, Malgieri e Petroni (rappresentante del ministero dell’Economia) lo hanno votato lo stesso; le intercettazioni telefoniche tra il dg Saccà e Berlusconi, che al di là del contenuto, hanno dimostrato quando il proprietario di Mediaset e presidente del Consiglio influenzava il vertice aziendale; le intercettazioni telefoniche dell’ex assistente personale di Berlusconi, Deborah Bergamini, messa, non a caso, a capo del Marketing strategico Rai a ulteriore dimostrazione della dipendenza della Rai da Mediaset; l’interruzione del rapporto tra Rai e Sky a beneficio di Mediaset, sempre per volere di Berlusconi; infine l’arrivo della coppia Minzolini e Ferrara (in questi dieci anni di coppie se ne potrebbero citare a decine), rispettivamente direttore del tg e conduttore di “Qui radio Londra” nello spazio che fu del Fatto di Biagi, con la conseguenza del crollo degli ascolti e la perdita di pubblicità; la cacciata di Michele Santoro che ha segnato la fine di Rai2, già bombardata da una serie di scelte infelici alla direzione di rete dopo l’allontanamento di Carlo Freccero. Non tutto, però, è stato negativo.
In questi anni sono stati realizzati programmi importanti, inchieste che hanno ricordato quella Rai dei Biagi, Marrazzo, Zavoli, e tanti altri grandi professionisti, che hanno preservato in parte il ruolo di servizio pubblico: “Report”, i programmi di Iacona, “Speciale Tg1”, alcune fiction e, scusate il conflitto d’interessi, “Vieni via con me”. Bisogna dare atto che con i due “allieni” Tarantola e Gubitosi, con i limiti della non conoscenza, qualcosa è cambiato, nonostante il forte indebitamento che si sono trovati in eredità dalle due precedenti gestioni, in particolare quella di Mauro Masi. Non sono certo, però, che abbiano ben presente quale potrebbe essere il futuro dell’azienda se non si farà una forte pressione nei confronti del governo per cambiare ciò che è previsto dalla legge Gasparri: maggio 2016 fine per la Rai della concessione di servizio pubblico, ripeto fine e non scadenza. Se il legislatore non interverrà nell’immediato con un decreto, e nel futuro con una nuova legge di sistema, Berlusconi, fuori o dentro la galera non importa, avrà ancora una volta partita vinta: l’obiettivo è quello non solo di poter controllare il mercato della pubblicità, ma di arrivare ad una spartizione di una fetta consistente del canone tra le tv che hanno le caratteristiche per accedere al ruolo di servizio pubblico.