Oggi in Siria: raid aereo su Aleppo: 25 morti , autobomba nei pressi di Homs: 7 morti, fra le vittime totali 11 erano bambini. In Kenya un treno deraglia a Kibera nei pressi di Nairobi, la più grande baraccopoli dell’Africa che conta un milione di abitanti, si contano 7 feriti ma si teme che ci siano anche diversi morti. Testimoni riferiscono di persone imprigionate fra le lamiere. Gaza ieri: un ragazzo palestinese di 20 anni è stato ucciso dai militari israeliani. Continua il conflitto nella repubblica Centrafricana, centinaia di migliaia di persone sono costrette a fuggire dalle proprie case.
Sono centinaia nel mondo gli stati coinvolti in guerre e in conflitti di varia natura. In Siria le Nazioni Unite stimano che dall’inizio del conflitto ci siano state almeno 125.000 vittime, secondo un rapporto della Oxford Research, pubblicato in Novembre, di queste vittime 11.420 erano bambini. Altre situazioni critiche nel pianeta riguardano la precarietà della vita di chi vive in condizioni di estrema povertà o di chi cerca di sopravvivere dopo una catastrofe come quella causata dal tifone Hayan nelle Filippine dove ancora mancano cibo, acqua e alloggi di emergenza.
Mi sono spesso chiesta il perché alcune tragedie tocchino emotivamente molte persone rispetto ad altre. Eppure nella nostra epoca dove le distanze, grazie alle nuove tecnologie della comunicazione, non esistono questo non ha molto senso. Sappiamo che in molti paesi si muore per cause ingiuste, che l’aspettativa di vita è bassissima a causa della povertà e che questa è spesso generata dall’avidità dei paesi più sviluppati che sfruttano le risorse di alcuni paesi ricchi di materie prime, ma poveri di generi di prima necessità. Non siamo stati capaci di suddividere la ricchezza, un miliardo di persone nel mondo non ha accesso all’acqua potabile, 870 milioni soffrono di fame atavica, su 2.2 miliardi di bambini nel pianeta la metà vive in condizioni di povertà, le 300 persone più ricche del mondo possiedono la stessa ricchezza dei 3 miliardi dei più poveri. Restiamo umani?
Ci abituiamo a queste notizie, che alcuni bambini soffrono di fame in Africa l’ho sempre sentito dire da quando ero bambina, ma adesso so che la fame nel mondo non riguarda solo alcune zone dell’Africa, ma se ne soffre anche nella nostra “evoluta” Europa. Anche del conflitto in Medio Oriente ne sento parlare fin da piccola e questo continuo susseguirsi di conflitti in quell’aerea ha forse generato una specie di assuefazione, si dà per scontato che quella sia una zona calda e che comunque non ci riguardi. Mi chiedo come sia possibile provare allora un po’ di compassione umana per chi soffre di deprivazioni o a causa dei conflitti. Eppure basterebbe approfondire le notizie per capire quanto sia applicabile il principio d’interdipendenza fra le nazioni e quanto fame e guerre nel resto del mondo riguardino anche noi. Anche Gaza ci riguarda, ci riguarda quel muro che Israele ha costruito per prevenire che i terroristi lasciassero la zona, quel muro che è a tutti gli effetti una prigione a cielo aperto. Israele è uno stato considerato civile, alcuni diritti umani, che altrove faticano ad essere approvati come le unioni fra omosessuali, vengono assicurati, eppure questo stesso stato non aderisce al trattato di non proliferazione delle armi nucleari e sostiene l’embargo che ha reso Gaza una zona invivibile. Israele ha rapporti economici con l’Italia, è un paese ricco, oltre il muro invece c’è la povertà, la deprivazione. Gli abitanti di Gaza che si recano a lavorare in Israele devono sottoporsi ad un estenuante check in, ma è l’unico modo per sopravvivere, a Gaza non c’è lavoro, non è stato permesso che ci fosse. Gaza si affaccia sul mare, ma è impossibile per i pescatori pescare del pesce oltre le 6 miglia perché rischiano di essere uccisi dai militari israeliani. Israele vive la paura di attacchi da parte di Hamas, inasprisce così le sue azioni contro gli abitanti di Gaza, immette violenza per evitare violenza, un circuito questo che rischia sempre di alimentare ulteriormente il conflitto. Per noi occidentali è più facile comprendere gli “amici” israeliani, una brutta cultura che paragona gli appartenenti al mondo arabo, e in generale tutti gli islamici, a pazzi fondamentalisti si è propagata, specialmente dopo l’11 settembre 2001. Ci dimentichiamo di parlare di persone, della sofferenza dei popoli come sofferenza di una parte dell’umanità. In Israele ci sono numerosi pacifisti, c’è chi si oppone all’escalation di atti repressivi contro i palestinesi di Gaza e allo stesso modo in Palestina molti vorrebbero la pace. Nessuno desidera vivere nella paura, ognuno vorrebbe assicurare alla propria famiglia tranquillità e una vita dignitosa. Vittorio Arrigoni ci ricordava di “restare umani” ogni qual volta parlava della tragedia di Gaza e quel suo restare umani è rimasto impresso in molte persone. Restare umani è anche un messaggio di denuncia da popolo a popolo, come mi ha raccontato Nina Ferretti di Ultimo Teatro, è la volontà di tornare all’umanità.
Ho conosciuto Nina insieme al suo compagno Luca Privitera poco prima che mettessero in scena il loro spettacolo intitolato appunto Restiamo Umani. Durante lo spettacolo si chiedevano come fosse possibile restare umani mentre si vive una tragedia come quella che vivono gli abitanti di Gaza. Nina e Luca pensano: “se succedesse a me cosa potrei fare?” e intanto gridano al mondo, che guarda in silenzio, il dolore di un popolo. Nina è di origine ebrea, molti membri della sua famiglia furono uccisi a Dacau. Nina conobbe il dolore delle atrocità subite attraverso gli occhi di sua nonna ed è anche questo uno dei motivi che l’ha portata in scena a descrivere il dolore di un altro popolo. Mi ha raccontato che alcune persone, dopo aver visto il loro spettacolo, hanno chiesto se davvero succedono fatti nel mondo come quelli che riguardano la follia del colonialismo.
Nina e Luca c’insegnano a rimanere umani e quella domanda, che ricorre spesso nel loro spettacolo, è quella che tutti dovremmo fare e farci affinché un domani non si debbano più leggere le tragiche cifre dei deceduti nei bollettini di guerra o quanto sia cresciuto il numero degli sfollati. Restiamo umani perché 300 persone che detengono la stessa ricchezza dei 3 miliardi dei poveri è un’ingiustizia su cui dovremmo riflettere. Restiamo umani è forse l’unica via per vivere in pace, perché se si attinge all’umanità più profonda spariscono le ragioni della paura, dei conflitti e dell’avidità.
(la foto è di Gregorio Paone)