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Il discorso della bella addormentata. 9 dicembre

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“Trionfa Renzi, battuti Letta e il Colle”, il Fatto Quotidiano. “Renzi sgomina il Pd”, Il Giornale. “Ora mi gioco tutto in due mesi”, Renzi a Geremicca, per la Stampa. “Il trionfo di Renzi: ora tocca a noi”, Corriere della Sera. “Il trionfo di Renzi: cambio subito il Pd”, Repubblica. Chi abbia vinto, per una volta, non è un mistero.

Nel discorso della “Bella Addormentata”, Matteo Renzi ha detto che il suo trionfo “non è la fine della sinistra, ma di un gruppo dirigente”, ha dato una stoccata alla casta dei sindacalisti “non può bastare l’iscrizione al sindacato per far carriera”, ha promesso di “scardinare il sistema di potere…non di cambiare il loro con il nostro”, dunque ”la prima corrente da rottamare è quella dei renziani”. Ha reso l’onore delle armi a Cuperlo: “se c’è uno con cui voglio discutere…” Si è rivolto a Civati:”tre anni fa, tu e io, non avremmo immaginato di diventare maggioranza”.

Del Paese, Renzi  parla come una “bella addormentata”, pieno di risorse e generosità, ma ci vuole un principe che lo svegli dall’incantesimo. “Siamo cresciuti in un mondo orfano di politica”, con la “peggiore classe dirigente che la storia abbia conosciuto”, una classe dirigente che “usa la parola stabilità come alibi del proprio immobilismo”. Ha detto, Renzi, di considerare la segreteria del Pd “un punto di partenza, non di arrivo”, ha promesso il bipolarismo e ha attaccato all’arma bianca Grillo, la sua vacuità e il suo squadrismo mediatico.  “Scuola, cultura, educazione non sono un costo ma un investimento”. Troppo poco. Direi di no, per il primo discorso. Il discorso più “americano” che mi sia capitato di sentire, che, come quelli di JFK o di Obama in campagna elettorale, comunica più con le parole che con la sintassi e col ragionamento “complesso”, che vuole costruire emozioni. Poi le parole devono trovare significato, le emozioni diventare proposte.

Civati ha superato il 14 per cento. Vuol dire ben più di 300mila voti. Se ho inteso bene, nel nord dell’Italia e in città come Bologna e Palermo, la mozione di Pippo ha riscosso più consensi, o almeno altrettanti, di quella Cuperlo. Secondo me è uno splendido inizio. In questi mesi ho visto nascere, intorno alla tenacia di Pippo, alla sua franchezza, alla capacità di ascoltare e di motivare, una sinistra nuova. Di giovani e diversamente giovani, disposti a dare una mano. Una sinistra non più post, né comunista né democristiana. Che non dice “chi sono” (e perché mi candido a dirigere), ma cosa vorrei cambiare. Una sinistra che quando non sa, chiede. Che diffida del “cesarismo”, ancorché “progressivo”, e che vuole svegliare la bella addormentata insieme al popolo delle primarie.

Una sola raccomandazione. Ora è il tempo della politica, non della delusione identitaria. “Noi l’avremmo fatto, Renzi probabilmente non lo farà”. Svegliamoci. Una vittoria come quella di Matteo non è, e non può essere, senza strascico. Dopo il plebiscito di ieri l’inciucio sarà più difficile, se non impossibile. Perciò tocca a Elly e a Pippo, tocca a noi che abbiamo condiviso la loro battaglia, apprendere velocemente la lezione e imparare a far politica; sulla legge elettorale, sulla durata e sul programma del governo, sull’idea di Europa e le elezioni di maggio, la questione morale come questione politica, il lavoro e il welfare, e i diritti per tutti. Ce la faremo? Scommetto di sì.

Infine Cuperlo. Allontanate con disprezzo chi dirà di aver perso perché “Gianni non lo conosceva nessuno” o perché sbagliava “le cravatte”. Cuperlo ha fatto una battaglia splendida. Dobbiamo essergliene tutti grati. Ma il tentativo di risuscitare la tradizione del comunismo italiano era destinato a fallire perché quella storia è finita (male) il giorno in cui Bersani offrì a Napolitano (io ho votato contro) un secondo mandato; consegnandogli le chiavi del Pd, del Governo e delle istituzioni già tanto ammaccate. Napolitano – lo aveva già annunciato – ha riproposto una formula da guerra fredda, quelle “larghe intese” dietro cui nascondere la paura e lo stupore per la rivoluzione in corso. Un residuo del tempo in cui i comunisti (o meglio parte del loro gruppo dirigente) si consideravano ospiti della democrazia e della società aperta. Temevano il dispiegarsi del conflitto (se non del tutto controllato) perché diffidavano della società e sospettavano che nutrisse germi autoritari o fascisti. Quella cornice ideologica è divenuta anacronistica e offre solo, ormai, un alibi a chi si è attaccato alla poltrona e non vuole sloggiare. A cominciare dai 101. È finita! Gianni Cuperlo è uno splendido intellettuale, uno che pensa e propone come tento di fare anch’io o come fa Civati. Non può essere l’interprete di una nobile e antica tradizione perché il senso di quella tradizione è stato dissipato. Si poteva capire già al tempo dello scontro Renzi – Bersani. Ora milioni di democratici hanno partecipato al rito funebre e lasciato la firma sul registro dell’addio.

Da corradinomineo.it


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