Mi scrive Gianni Pittella.
Caro Corradino,
il mio appello al voto utile riguarda questo congresso assurdo che stiamo vivendo. Ti sbagli, non chiedo certo di votarmi perché sono nato sotto Roma. Chiedo un voto che faccia la differenza e non uno nel mucchio per altri candidati che già sanno di partecipare alle primarie. Come sai non si sceglie oggi chi sarà il segretario del PD -per quello conteranno le primarie dell’8 dicembre- ma si decide soltanto chi va fuori dalla corsa, presumibilmente, tra me e Pippo. Capisco quindi che si tenti di tutto per portare qualche voto in più al proprio candidato, anche una critica superficiale al mio dare centralità alle ragioni del Sud. Certi dirigenti del nostro partito e certa intellighenzia nostrana continuano a mostrare un pregiudizio forte o, se va bene, un certo disinteresse per le ragioni del Meridione. La selezione di una classe dirigente non rappresentativa del proprio territorio, spesso imposta e non misurata dal consenso popolare, è anche figlia e conseguenza di questo pregiudizio e di questo disinteresse. Stimo Pippo Civati, spero che abbia lo spazio che sta cercando di ottenere, ma nelle 69 pagine del suo documento ho trovato riferimenti generici o scolastici alla questione meridionale. Se tu Corradino avessi però dato un’occhiata alle mie proposte o alla mia mozione congressuale -e ora sono certo che non lo hai fatto- avresti trovato l’idea di un sud che alzi la testa e che smetta di piangersi addosso, che scelga di rinnovarsi partendo da una classe dirigente da cambiare nel profondo, che guardi alla dimensione europea per pensarsi compiutamente e per rilanciarsi, che riscopra innanzitutto il senso civico e il bene comune per contrastare corruzione e notabilati.
Ci conosciamo da tempo e sai quale è stato il mio lavoro in questi anni. Oggi ho scelto di vivere questa fase di rigenerazione del PD in prima persona, mettendoci la faccia. È una battaglia difficile, che oltre le caricature sono il primo a combattere contro i signori delle tessere e i capibastone locali, pure quelli del mio partito, che soprattutto al sud storcono la bocca (per essere gentili) per questa mia sfida. Forse lo dimostra il fatto che non ci siano importanti parlamentari a sostenermi, a differenza di Pippo Civati, ma ragazze e ragazzi o anche qualche ragazzo meno giovane che però riscopre la stessa voglia cambiare il sud, l’Italia, il mondo.
Non so come finirà questo congresso, ma spero che qualcosa cambi. Innanzitutto che le polemiche e le sfide dialettiche stiano nel merito delle questioni e non sulla superficie di un’impressione del momento. Ci sarà tempo e modo per conquistare con un corsivo uno spazio in più di visibilità, ma per ora concentriamoci sul futuro che insieme vorremmo costruire. Per me, un futuro che vale.
Con stima,
Gianni Pittella
Rispondo:
Caro Gianni,
ho imparato che le grandi e belle battaglie hanno un loro tempo. Converrai che le “larghe intese” del 76, ripescate da Napolitano in occasione della commemorazione di Gerardo Chiaromonte, non abbiano senso oggi, che non c’è più la guerra fredda e Berlusconi non è più il campione un Occidente a trazione americana né, dall’altra parte, esiste ancora il blocco sovietico. Così pure l’ottocentesca, questione meridionale ha oggi perso l’antica forza propulsiva. Si basava, quell’idea, sulla doppia constatazione di una costruzione ultra centralista dello stato sabaudo e di uno sviluppo tendenzialmente duale dell’economia italiana. Oggi se dovessi individuare un dualismo economico, vedrei piuttosto quello tra un’Europa germano-centrica e una mediterranea. Mentre trovo che il nostro Stato nazionale sia stato da tempo generosamente concesso in appalto (con le Regioni, così come si sono costituite, e la riforma del Titolo Quinto) alle classi dominanti del sud, oltre che a gruppi di potere locali del nord, più che permeabili –lo si è visto- dalle mafie. .
D’altra parte già 40 anni fa Mario Mineo riscriveva in modo radicale i termini della Questione Meridionale, quando indicava un “nemico interno” in quella borghesia meridionale “parassitaria e intermediaria” che definiva “essenzialmente mafiosa”. Non si trattò solo della lucida analisi di un rivoluzionario, se è vero che Pio La Torre passò da un tempo in cui, da sindacalista Cgil, difendeva gli “scioperi polverone” e il rivendicazionismo meridionale (dateci quel che ci dovete, poi lo spartiremo tra borghesi e proletari), a un tempo in cui si fece alfiere di una legge che consente il sequestro dei patrimoni mafiosi, una legge che mette, cioè, sotto accusa il tipo di accumulazione di tanta parte delle borghesie del sud.
Vedi Gianni, quando scrivi nella tua mozione “la criminalità organizzata ha approfittato per anni della mancanza dello Stato e della politica per radicarsi e distruggere il tessuto sociale delle comunità”, a me pare che tu non colga come, non l’assenza dello Stato ma, la natura stessa dello Stato che abbiamo costruito, abbia ingrassato quella borghesia parassitaria e intermediaria, essenzialmente mafiosa. La trattativa del 93, questo nasconde. E ancora prima, dopo la rivolta fascista del 1970, lo Stato nazionale ha ceduto la Calabria ai mandanti di quella rivolta, dando la stura a un cosiddetto “sviluppo economico” trainato dalla ndrangheta.
In verità io credo che non ci sarà futuro per il sud, da Napoli a Palermo, da Potenza a Reggio Calabria, se non quando impareremo dalle primavere arabe. Quando la smetteremo di prendercela con Israele e con gli Americani, ma diremo che i nostri nemici sono Mubarak e Bel Ali, come le borghesie compradore, arabe o italiche, corruttrici e intermediarie.
Questo penso e perciò ho reagito quando mi era parso che tu invitassi a votare un meridionale in quanto meridionale, alle primarie del Pd. Sono certo che discuteremo ancora e che faremo grandi battaglie insieme.
Ti abbraccio
Corradino Mineo