di Valerio Vartolo
Alcune considerazioni sullo stato di salute del sistema italiano in vista del convegno sulla libertà di informazione. Problemi e aspettative
Il convegno organizzato da Ossigeno per l’Informazione e da Open Media Coalition giovedì 14 novembre 2013 al Senato, dal titolo “La libertà di informazione che vorremmo, quella che abbiamo e quella che rischiamo di non avere” si svolge in un periodo che, eufemisticamente, possiamo definire non troppo felice per la libera stampa e per i giornalisti più coraggiosi.
Leggendo le notizie diffuse da Ossigeno per l’Informazione, giorno dopo giorno, vediamo scorrere un elenco infinito di giornalisti minacciati o querelati. È notizia di queste ultime settimane il provvedimento adottato da una Giunta regionale che autorizza il Presidente a citare in giudizio i giornalisti.
Altrettanto recenti sono le querele annunciate da esponenti politici, del Partito Democratico in questo caso, contro giornalisti che raccontano gli aspetti più controversi del Potere. E non si può dimenticare l’iniziativa del Comune di Marsala, il cui sindaco ha citato in giudizio una testata, Marsala.it, a nome di tutti i cittadini, non già per alcuni articoli, ma addirittura contestando la “linea editoriale complessiva”.
La libertà di stampa definisce l’essenza liberale di una democrazia: in questo senso la situazione della democrazia italiana è grave. È così per quanto concerne la grande stampa, quella nazionale, spesso attaccata e denigrata da alcune forze politiche. È ancor di più è così per le piccole testate, per i giornalisti free lance, per le redazioni locali, ancor più se operanti in zone in cui il racconto del Potere è anche (e soprattutto) il racconto della criminalità organizzata.
Per questi giornalisti le citazioni in giudizio o le querele sono autentiche mannaie: possono comportare la fine della propria attività e, in alcuni casi, spingere (efficacemente) all’auto-censura. Questa è la liberta di stampa che abbiamo in Italia.
Quella che vorremmo, mi permetto di scrivere, è una libertà di stampa sia simile a quella dei paesi anglosassoni, nei quali la stampa assume le vesti di vero e proprio (contro) potere, di guardiano del Potere stesso. Ripeto spesso: in quei paesi (basti pensare alla Gran Bretagna o agli Stati Uniti), anche a seguito delle grandi inchieste giornalistiche, anche nel caso in cui queste inducano il potente di turno alle dimissioni, mai il Potere potrebbe trascinare in giudizio il giornalista e ciò non soltanto per il rispetto profondo che si deve allo stesso ruolo della Stampa ma soprattutto perché mai il Potere, in quanto tale, vorrebbe ingenerare l’impressione di porsi al di sopra di un cittadino, certamente, meno potente.
A queste non posso non aggiungere considerazioni di carattere strettamente giuridico: nel sistema statunitense, ad esempio, esiste un meccanismo per cui chi cita in giudizio, chiedendo un maxi risarcimento, deve, a titolo di penale, garantire una parte della somma richiesta ed eventualmente “pagarla” nel caso in cui esca sconfitto dal giudizio. In questo senso, il sistema italiano è assai arretrato. Ben venga, perciò, il progetto di riforma che mira ad abolire la pena della reclusione quale pena per il reato di diffamazione. Ma affrontando le riforme necessarie non si può ignorare che la sede civile è quella più utilizzata nonché più temuta. Lo indicano le principali statistiche nazionali e, più sommessamente, la mia esperienza professionale di legale.
Questo convegno può offrire l’occasione per raccogliere le forze disponibili a continuare la battaglia a favore di una stampa realmente libera, di cui questo nostro paese ha disperato bisogno: perché soltanto una stampa libera può rendere liberi i cittadini, creare quella pubblica opinione informata e formata che è elemento essenziale della vita democratica.