La politica italiana si è ormai avvitata in una crisi senza sbocco. Altro che vedere l’uscita dal tunnel della crisi, come il premier Letta (Enrico) propaganda ai quattro venti! Mentre va in lento e costante disfacimento il PDL di Berlusconi, sotto le litigiose spoglie di Forza Italia-2 (“a volte ritornano”!), come legge del contrappasso dantesco anche il PD (irrisolta miscela tra inconsolabili “orfani” di PCI, DC e PSI) fa di tutto per auto-dissolversi tra tessere gonfiate, “galletti” da cortile mediatico che si beccano e fanno a gara a chi è più telegenico e usa termini più berlusconiani.
I cosiddetti “Grillini”, catalizzatori del malcontento popolare di destra e di sinistra, dopo alcune defezioni, si scoprono sempre più “figli di un Dio minore”, guardati a vista dal loro padre putativo, che da rivoluzionario post-bolscevico si è trasformato in una sorta di caudillo reazionario.
Gli evanescenti “situazionisti” del “Centro” (incestuoso connubio tra liberali agnostici e cattolici oltranzisti) non hanno più padri né zii né autori e così recitano a soggetto, ma in compenso restano abbarbicati alle antiche poltrone come mummie petulanti.
La “Sinistra radicale” è sminuzzata, afona e legata ad arcaici stilemi.
E i sindacati? Non pervenuti!
La loro è ormai una crisi di identità decennale: a mala pena riescono a stare insieme al concerto del Primo Maggio per ricordare agli italiani, tra canzoni rap e satira sciapa, che un tempo anche loro contavano qualcosa nelle trattative con le “parti sociali” tra governo e Confindustria (altra “missing in action”). Non riescono ad organizzare i milioni di senza-lavoro, a dare una prospettiva ai milioni di giovani ridotti ormai a fare i migranti in giro per il mondo (emuli dei nostri avi del primo Novecento). Rappresentano sempre più i pensionati al minimo, la nuova “mecca” dei tesseramenti sindacali e partitici. E si sono lasciati sfuggire il popolo dei “tartassati”, quelli che comunque vadano i conti dello Stato e qualunque governo ci sia sono la solita “mucca da spremere”.
In questo panorama desolante, dove l’unica novità positiva sono a volte le iniziative spontanee dei movimenti “atipici”, delle associazioni della società civile che richiamano gente di ogni fede politica e religiosa nelle piazze su temi “aborriti” dai partiti ufficiali (si pensi, tra i tanti, alla difesa della Costituzione e alla lotta contro le mafie), il nostro paese va alla deriva e il “collante democratico” si sfalda sempre più. La corda, a forza di tirarla, purtroppo rischia di spezzarsi e il panorama sociale potrebbe a quel punto precipitare anche in rivolte “pure e dure”, senza punti di riferimento e la conseguente distruzione delle regole proprie della convivenza civile.
Da due anni le analisi allarmate dei maggiori centri studi dell’ONU e dell’OCSE stanno mettendo in guardia i paesi più sviluppati sui pericoli di questa “deriva ribellistica”. E la Grecia ne è un esempio.
In Italia tre virus hanno azzoppato in questi 20 anni di regime berlusconiano le istituzioni repubblicani a tutti i livelli, nazionale e locale: il Consociativismo, i Conflitti d’interessi mai intaccati, il Sistema elettorale “Porcellum”, ufficialmente vituperato, ma nelle segrete stanze da tutti caldeggiato.
Il consociativismo, con il suo corollario della corruzione, ritornato alla grande dopo l’effimera stagione purificatrice di Tangentopoli, è il male peggiore di questa Italia ormai declassificata in tutte le categorie stilate dai maggiori istituti internazionali di valutazione. Questa “cattolicissima” Italia, fustigata anche da Papa Francesco, che non sembra davvero sensibile al suo richiamo contro la “Dea tangente”, una droga che fa mangiare “pane sporco ai propri bambini”. Quale dignità mostrano i grand commis dello stato, alti dirigenti e funzionari che convivono consociativi accanto alle famiglie dei potenti, da quest’ultimi ringraziati con poltrone, prebende, carriere inarrestabili, posti sicuri e di prestigio per i loro rampolli?
Paradigmatico il caso del ministro della Giustizia, Cancellieri, che si è ritenuta esente da qualsivoglia conflitto di interessi nella sua lunga amicizia e frequentazione familiare con gli inquisiti Ligresti. Se un ministro come la Cancellieri non sente neppure il dovere morale di dimettersi e il Presidente del consiglio (d’accordo con il suo partito “di riferimento”, il PD) non ha nemmeno il coraggio di usare un “cartellino giallo” per farle “un passo indietro”, per paura di mettere in crisi le anomale “strane intese”, allora non si capisce perché chiedere le dimissioni ai tanti politici di secondo livello coinvolti in casi di conflitto d’interessi o pizzicati con il “bottino” dei finanziamenti pubblici, “distratti” per interessi privati. Ecco in parte spiegata quella che oggi potremmo definire una “guerra di posizione” tra le varie caste al potere e la società civile, sempre più suddita, ma ribollente.
Siamo sospesi nel vuoto ideale, culturale e di prospettive, malfermi in un equilibrio instabile, con l’arroccamento di un milione e passa di persone che vivono direttamente o indirettamente con la politica (istituzioni nazionali e locali, aziende municipalizzate, enti vari, burocrazie di partito e sindacali). Queste persone, e le loro famiglie, oggi si sentono accerchiate da una marea populistica che spara a zero indistintamente sulla politica. Ma i contribuenti, i pensionati, i lavoratori dipendenti, gli artigiani e commercianti onesti, gli imprenditori coraggiosi, coloro che insomma pagano le tasse senza poter evadere o eludere, tutti questi stanno dall’altra parte della barricata e attendono il momento propizio per dare una spallata a questo mondo che fa impallidire tutte le democrazie liberali dell’Occidente capitalistico.
Non saranno certo le Primarie del PD a riattivare le coscienze sopite per la politica. Sarà solo una conta, con dati truccati e ricorsi, per mantenere in vita un’esperienza di partito nato col peccato originale del mantenimento del potere a qualsiasi costo.
Né tantomeno sboccerà una nuova Destra, più laica, liberale, europeista, fautrice del “capitalismo compassionevole” dalle ceneri del PDL e dalla diaspora dei tanti tronconi di quella che fu “l’armata berlusconiana”, infarcita dai Bossi, dai La Russa, Gasparri, Tremonti, Formigoni, Cicchitto e compagnia cantando. Resta ancora il tempo tecnico, anzi “l’overtime”, affinché i partiti tradizionali dimostrino una loro decenza istituzionale, un orgoglio repubblicano: scadrà il giorno del voto al Senato (si spera palese) per decidere la decadenza di Berlusconi, condannato definitivamente per frode fiscale. Anziché lamentarsi nelle anguste e inappropriate vesti di “un ebreo perseguitato” insieme ai suoi figli, il Mago di Arcore farebbe bene a lasciare il campo prima che in Italia scompaia anche mediaticamente l’idea di una Destra.
A suo tempo, insieme agli ex di Alleanza Nazionale era riuscito a convincere la Comunità ebraica italiana dei suoi sentimenti di amicizia verso Israele (senza però mai condannare l’Olocausto, le leggi razziali, il nazifascismo, anzi omaggiando Mussolini e svillaneggiando la festività del 25 Aprile). Ora, farebbe bene ad andare in pellegrinaggio con i “treni della memoria” per visitare i campi di concentramento dove sono stati fatti “passare” per i camini 6 milioni di ebrei. Alla Comunità ebraica suggeriamo per il futuro di non dimenticare mai le ascendenze storico-ideologiche dei loro improvvisati adulatori politici: essere critici con la politica reazionaria del governo di Israele non significa automaticamente essere “antisionisti” o “filo-palestinesi”, come hanno ricordato due autorevoli intellettuali ebrei, Gad Lerner e Moni Ovadia, che polemicamente si sono dimessi dalla loro Comunità.
A Berlusconi e ai suoi figli, comunque, raccomandiamo di riflettere in silenzioso raccoglimento, dopo aver guardato con la cenere sul capo il fotomontaggio sarcastico, tutto yiddish, pubblicato dalla rivista ufficiale della Comunità israelitica Shalom.