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Contratto nazionale, apriamo la discussione

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di Paolo Butturini
Segretario Asr

La rivoluzione digitale è arrivata anche nel tempio dell’informazione economica: il Financial Times compie un passo decisivo, non tanto verso l’ormai vecchio schema dell’integrazione fra carta e web, che i nostri editori si ostinano a percorrere, ma verso una vera svolta che fa della rete il motore propulsivo della filiera produttiva informativa. In concreto: “Il Financial Times verrà prodotto da una più circoscritta squadra concentrata sul cartaceo, ma che lavorerà spalla a spalla con una più vasta e articolata equipe dedicata al web e agli aggiornamenti”. Più specificatamente, come spiega il direttore Lionel Barber: «Redattori e inviati saranno chiamati a concentrarsi meno sulla raccolta di notizie in maniera “reattiva” e più sul valore aggiunto delle “notizie in contesto”». Dobbiamo partire da questo passaggio ineluttabile se vogliamo inquadrare la trattativa per il rinnovo del Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico che prende avvio in questi giorni. Dando per scontato uno spaventoso ritardo di elaborazione sia culturale che sindacale. UN CONTRATTO SENZA LA CATEGORIA? Il primo pericolo è quello di un confronto che prescinda dalla base sindacale. Questo momento così delicato, che si colloca sul crinale di una crisi epocale, sia industriale che di prodotto, necessita di una discussione “trasparente e inclusiva”. Non è possibile immaginare, come fu per l’ultima negoziazione, un confronto ristretto che partorisca un articolato da presentare preconfezionato al giudizio di colleghe e colleghi. Il tempo, in questo contesto, deve essere scandito da passaggi di verifica continui e che coinvolgano tutte le strutture, di base e non, della Fnsi. TENERE CONTO DEL CONTESTO La trattativa va correttamente posta nel contesto in cui si sviluppa, alla luce delle profonde trasformazioni che sono già avvenute nei modelli organizzativi redazionali, nelle pianificazioni del lavoro giornalistico e confrontandosi con gli inevitabili processi che fanno da corollario alla digitalizzazione delle notizie (vedi l’esempio del Financial Times). Non si tratta semplicemente del vetusto schema carta+web, è in fase avanzata un percorso di profondo cambiamento del modo di esercitare la professione. I giornalisti, da ora in poi, dovranno “pensare multimediale” prima ancora che produrre su più piattaforme, dovranno governare, nel segno della qualità e dell’approfondimento, il flusso ininterrotto di news che la rete genera. Questo implica tre cose: 1. l’estrema attualità del tema “qualità dell’informazione” 2. una rinnovata centralità e autonomia del lavoro giornalistico 3. la necessità di adottare il parametro della “formazione permanente” L’OCCUPAZIONE PRIMA DI TUTTO Le trasformazioni in atto, dunque, determinano la necessità di privilegiare il tema dell’occupazione stabile e di qualità che inverta definitivamente il trend di impoverimento delle redazioni e di scadimento della professione. In parole povere, come affermò tempo fa il Presidente della Fieg, Giulio Anselmi: “Bisogna tornare ad assumere giornalisti”. Aggiungo: bisogna smettere di espellere professionalità e saperi dalle testate, ma imparare a farli dialogare con le nuove generazioni, naturalmente più portate, quando non native, al digitale. Allo stesso tempo, serve un ridisegno del percorso che porta all’assunzione e una pianificazione dell’aggiornamento professionale che, in un breve lasso di tempo, si trasformi in formazione permanente. Decisivo sarà anche il tema delle “nuove figure professionali” che potrebbero essere il concreto trait d´union e strumento di transizione dalle redazioni “analogiche” a quelle “digitali”. IL LAVORO AUTONOMO In questi ultimi anni, fortunatamente, il tema del lavoro autonomo giornalistico, ha trovato dignità nelle discussioni sindacali. E’ però arrivato il momento di porre un punto fermo che si traduca in spunti concreti per il rinnovo contrattuale e delle norme che regolano l’apporto dei colleghi non dipendenti. Occorre prima di tutto mettere fine a un’ambiguità, senza sciogliere la quale ogni riforma sarebbe inutile: va definitivamente separata la figura del “precario” da quella del “freelance”. Il primo va ricondotto pienamente all’interno del lavoro subordinato o, in minima parte, parasubordinato; il secondo va messo in grado di competere sul mercato attraverso una ridefinizione della sua figura professionale, anche nel contratto, e una rete di “servizi ai professionisti autonomi” con un welfare su misura e strumenti di formazione aggiornamento continui. LA RIMOZIONE DEL CONFLITTO Da tempo, incomprensibilmente, il conflitto è stato rimosso dall’orizzonte sindacale. Non che abbia nostalgia per gli “scioperi di una volta”, ma non c’è confronto con una controparte che non contenga, almeno in potenza, elementi di scontro. Ci stiamo attrezzando in questo senso? Che cosa pensiamo di fare se ci dovessero essere, come immagino ci saranno, profonde divergenze con la Fieg? Su quale base pensiamo di ipotizzare una eventuale mediazione? Una moderna visione del conflitto, che individui anche strumenti alternativi all’astensione dal lavoro (penso al modello di puntuale informazione dei lettori nella vertenza de Il Corriere della Sera, soltanto per fare un esempio), è fondamentale per puntellare una discussione negoziale quanto mai difficile e che non ci vede partire da posizioni di forza. LE REGOLE DI SISTEMA Infine, ma il tema meriterebbe un approfondimento a parte, non credo si possa ipotizzare un accordo fra le parti senza inserirlo nel contesto di un progetto di riforma del sistema dell’informazione in Italia. Questo è forse uno dei punti su cui si può stringere con la Fieg un “patto fra produttori”. Riscrittura in chiave moderna della legge sull’editoria, nuove regole contro gli oligopoli (senza penalizzarne la competizione su scala internazionale), statuto dell’impresa editoriale, riforma dell’Ordine dei Giornalisti: sono tutti passaggi necessari, per altro individuati da tempo, di quella profonda revisione delle regole di sistema che serve a mettere in sicurezza un delicato ganglio della democrazia come l’informazione.

da stamparomana.it


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