BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Dignità autonome di prostituzione

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Una donna sull’orlo di una crisi di nervi, che si guarda allo specchio, in un drammatico confronto con il figlio il cui volto è appena illuminato dalla luce nel buio di una stanza. Seduti a tavola, l’uno di fronte all’altro, ci sono la madre (interpretata da Giorgia Trasselli, che a tratti ricorda la Nora di Ibsen in “Casa di bambola” divenuta il simbolo dell’emancipazione femminile) e uno dei suoi tre figli al quale, come se fosse presente, la donna rovescia tutto il suo malessere di madre e moglie insoddisfatta, ma ancora capace di sperare. È uno dei monologhi di “Dignità autonome di prostituzione”, lo spettacolo di Luciano Melchionna andato in scena al Lanificio di via di Pietralata. Sull’onda del grande successo che riscuote da oltre cinque anni, lo spettacolo ha visto andare in scena, nelle stanze dell’ex fabbrica, oltre 30 attori che si sono avvicendati per “concedere le proprie grazie” a pagamento negli angoli più inconsueti e nascosti del Bordello-Teatro. «La prima volta che incontrai Melchionna – racconta la Trasselli, che è direttrice artistica della Scuola di recitazione “Fondamenta” a Roma – fu nel 1999 al Teatro Colosseo. Fu lì che lui mi chiese di partecipare a qualcuno dei suoi spettacoli. Il monologo che ha scritto per “Dignità autonome di prostituzione” si chiama “Un’altra” ed è la storia di una donna in attesa del figlio per la cena. È la sua volontà di esprimersi, una lunga analisi e riflessione su tutta la sua esistenza, costellata di sofferenze, di un marito violento che la picchiava, di una solitudine estrema che si conclude tuttavia con una forte speranza. La protagonista infatti dice “ora tocca a me”». Ma attraverso questa forma d’arte innovativa si può superare la crisi del teatro? «L’ultima sera abbiamo avuto 700 spettatori – continua la Trasselli – molti dei quali tornati dopo averci già visti tre o quattro volte in Italia e in giro per il mondo».

Performance, quelle degli attori di “Dignità autonome di prostituzione”, che hanno visto gli spettatori in fila, come al botteghino del cinema, per ascoltare il racconto di vita di Anja, prostituta slovacca interpretata da Betta Cianchini, che vive in un furgone e che, al di là del sorriso stampato sul volto, nasconde un triste passato che le provoca ancora tanto dolore. O Vanda, una specie di Jessica Rabbit in versione mora e riccioluta che, fasciata in un sensuale abito rosso fuoco, parla in romanesco, snocciola battute ricche di doppi sensi per divertirsi e far divertire il pubblico e che, alla fine, in una delle sale del Lanificio riesce ad emozionare gli spettatori seduti sul pavimento affrontando nel suo monologo il tema della diversità al femminile. Numerose le location per le prestazioni dei vari attori e attrici-prostitute: al Club come nel suggestivo Atelier, all’interno del montacarichi o tra le aule dell’Accademia di Danza, nei loft dedicati alle mostre, negli uffici di produzione o al centro del piazzale. Ogni luogo diventa l’anfratto “sconveniente”, il punto d’incontro dove esigere “la prestazione”.

Attori come prostitute adescano i clienti mentre una strana famiglia di tenutari e maitresse favorisce gli incontri e stimola le trattative. Il pubblico rigorosamente dotato di “dollarini”, moneta di scambio della Casa, può scegliere le cortigiane e, dopo aver trattato il prezzo, assistere a pièce teatrali della durata di 10-15 minuti. Da soli, in coppia o con un piccolo gruppo di intimi che condividono la stessa performance e le stesse “perversioni”, ci si apparta in luoghi altri dal palcoscenico. Seduzione, piacere, adescamento, perversione, emozione, divertimento, provocazione: questi i binari su cui scorre la regia minuziosa, complessa, originale e destabilizzante di Melchionna, che rende lo spettacolo un vero e proprio evento in continua evoluzione: in più di cinque anni di repliche, nessuna è mai uguale alle precedenti. Un nuovo approccio al teatro, dunque. Un modo per ridare “Dignità” al lavoro dell’Attore e al contempo una provocazione giocosa e sorprendente per riavvicinare il pubblico al “mestiere più antico del mondo”, per far riflettere e divertire, laddove per divertimento si intenda “uno stupore nuovamente sollecitato” da un teatro che non è auto celebrativo, ermetico e fine a stesso ma prima di tutto magia e sogno.


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