“Le Parti incoraggiano il settore privato, il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e i mass media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare all’elaborazione e all’attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità”. Così recita all’articolo 17, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica – ratificata dall’Italia ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77 – un articolo di cui si parla martedi 24 settembre alle ore 10 al Senato (Palazzo Giustiniani, Sala Zuccari, Via della Dogana Vecchia, 29) per capire meglio come il nostro Paese possa implementare questa Convenzione ma soprattutto come recepire in profondità tutto quello che non solo questa convenzione, ma tutte le direttive internazionali rivolte al nostro Paese in materia, indicano in maniera chiara. In un convegno che non a caso s’intitola: “Convenzione di Istanbul e Media”, e insieme alle presidenze di senato e camera, con Grasso e Boldrini, la vicepresidente del senato, Valeria Fedeli, illustrerà le motivazioni e la portata della Convenzione di Istanbul per quel cambiamento culturale che ormai da più parti viene sollecitato a gran voce. Un cambiamento che smantelli gli sterotipi di genere nel modo di pensare e nel modo di agire nel presente, e che nella realtà è il fulcro e il fondamento per un vero contrasto alla violenza contro le donne – femminicidio, di cui ormai siamo tutti al corrente. Ruoli definiti e stereotipati, che sono l’humus su cui proliferano la discriminazione e la violenza di genere. Un’azione che vede i media e soprattutto l’informazione “alta” di giornali e telegiornali su carta, tv e web, come i protagonisti di questa trasformazione.
Per questi motivi, e non solo, l’idea di un incontro dove le istituzioni si aprono a un confronto diretto con chi questa informazione la fa e la dirige, senza tralasciare però quella fetta di società civile che su questi temi ha lavorato, e che tutt’ora produce pensiero e proposte.
Ed è per questo che al tavolo di martedì, oltre ai rappresentati istituzionali, siederanno la presidente Rai, Tarantola, e le direzioni di testate nazionali a grande tiratura, come De Bortoli (Corriere della Sera), Giannini (Repubblica), Varetto (Sky tg24), con anche quelle associazioni di settore, come Giulia e Articolo21, che su questa scommessa “di genere” hanno lavorato lanciando e attuando cambiamenti sostanziali nella narrazione della violenza sulle donne – femmincidio, a livello mediatico. Per quanto mi riguarda, e come rappresentante di queste due associazioni in quella sede, sono fiera di portare su quel tavolo tutto il lavoro svolto in questi anni che, in maniera prima sotterranea e poi manifesta, ha cambiato molte cose, a partire dall’uso dei termini “femmicidio” e “femminicidio”.
Ma cosa significa cambiare la cultura? La cultura non è un corpo estraneo, la cultura siamo noi e si può cambiare solo partendo da noi, con una consapevolezza e una conoscenza che permetta di rintracciare stereotipi nascosti nelle pieghe profonde della società. La Convezione di Istanbul oltre a condannare “ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica”, ricononsce che il raggiungimento dell’uguaglianza è un elemento chiave per prevenire la violenza. Riconoscendo “la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere”, la Convenzione riconosce che “la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette a una posizione subordinata rispetto agli uomini”. Ma oltre a dare indicazioni di tipo giuridico, questa Convenzione insiste molto sulla prevenzione e sulla protezione attuabile attraverso una fitta e articolata rete di sostegno per le donne, ma soprattutto chiarisce quanto l’elemento culturale sia fondamentale, nel senso che si possono fare le migliori leggi del mondo ma se non cambia la testa le leggi possono anche rimanere inapplicate, come già succede in Italia e come sottolineato dalla Special Rapporteur dell’Onu, Rashida Manjoo, nelle sue raccomandazioni al nostro Paese.
Detto ciò, non rimane che riflettere su come tali indicazioni siano implementabili in relazione ai media italiani, ma soprattutto rispetto all’informazione di giornali, telegiornali, speciali e programmi d’informazione tramite stampa, tv e web. Un’informazione che, qualora non venga data in maniera corretta, può procurare anche distorsioni e danni, in quanto nella formazione dell’opinione pubblica, dell’immaginario collettivo e nel sostegno degli stereotipi comuni, l’informazione tramite stampa, tv e web ha un ruolo fondamentale. Quando ho cominciato a monitorare l’informazione italiana con un “occhio di genere”, e occupandomi già di violenza su donne e minori, ho visto che malgrado in Italia l’80% della violenza fosse violenza domestica e malgrado la maggior parte degli autori di femmicidio fossero membri maschi della famiglia italiana (mariti, fidanzati, ex o partner respinti), di cui solo il 10% con problemi psichici accertati, si parlava sempre di “raptus, infermità mentale, gelosia, delitto passionale, stress dovuto al lavoro o alla perdita del lavoro”, e si tracciava un profilo della donna che ricalcava stereotipi comuni, quasi a suggerire una complicità della donna stessa la quale, avendo provocato, tradito, esasperato, respinto l’uomo, si era ritrovata uccisa. Quando si trattava di un’uccisone dopo una lunga serie di maltrattamenti gravi in famiglia, nei giornali spesso il titolo riportava un’attenunate psichiatrica dell’autore e di solito il background culturale nell’illustrazione dei fatti, richiamava agli stereotipi femminili. Ma chi informa deve essere informato e non può prescindere da una formazione e una preparazione adeguata su temi che non sono di serie B, e che non possono essere improvvisati, soprattutto se si tratta di professionisti dell’informazione, come siamo appunto noi giornalisti e giornaliste. Ed è da qui che è cominciato il lavoro della rete delle giornaliste che avendo fatto tesoro di diversi input, hanno prodotto buone pratiche nei giornali in cui lavoravano, e hanno cominciato a dare un diverso rilievo al fenomeno non solo usando la parola “femminicidio”, ma creando una specie di osservatorio sul trattamento di tali argomenti.
Risolvere il problema culturale anche attraverso una corretta informazione, è il nodo: ma lo dobbiamo fare da sole continuando a punzecchiare direttori e caporedattori? Io farei un passo in più perché vorrei che in questo momento gli uomini che ricoprono ruoli decisionali in questo contesto e che sono la maggioranza (ma anche le donne seppur meno), scegliessero di ascoltarci prendendo in seria considerazione la possibilità di cambiamenti profondi che coinvolgano il tessuto stesso dell’informazione mediale, attraverso il recepimento di uno strumento eccezionale come è la Convenzione di istanbul, nella sua interezza. La violenza maschile contro le donne non è un fenomeno né nuovo né solo italiano, e i dati dell’Onu ci dicono che nel mondo 7 donne su 10 subiscono violenza nel corso della vita, e che 600 milioni di donne vivono in nazioni che non considerano questa violenza un reato: una violazione di diritti umani planetaria. Le donne oggi sono l’avanguardia di un profondo cambiamento culturale che farà bene a tutti e che porterà vantaggi all’intera società e alle nuove generazioni, maschi o femmine che siano.
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CONVEGNO
“Convenzione di Istanbul e Media” – Roma, 24 settembre h. 10,00
Senato della Repubblica – Palazzo Giustiniani, Sala Zuccari – Via della Dogana Vecchia, 29
Indirizzo di saluto
– Pietro GRASSO Presidente del Senato della Repubblica
– Laura BOLDRINI Presidente della Camera dei Deputati
Introduce
– Valeria Fedeli Vice Presidente del Senato della Repubblica
Ne parlano
– Anna Maria TARANTOLA Presidente RAI
– Mario CALABRESI Direttore de La Stampa
– Ferruccio DE BORTOLI Direttore del Corriere della Sera
– Massimo GIANNINI Vice Direttore de La Repubblica
– Sarah VARETTO Direttore SKY TG24
– Luisa BETTI Articolo21 e Giulia
Conclude
– Luigi ZANDA Presidente Gruppo Partito Democratico
Per accrediti, mandare email: segreteria.fedeli@senato.it