Ci voleva la “presa diretta” di Corrado Iacona per restituire, dopo la lunga quanto immotivata pausa estiva, qualche pagina di buon giornalismo alla televisione italiana. Poi purtroppo hanno ripreso a spuntare come funghi i talk-show politici, a chiarire che la nuova stagione, ancor più di quella passata, non avrà come protagonisti i fatti ma le opinioni. E magari fossero vere opinioni. Il più delle volte si tratta di risse verbali, scontatissimi slogan, prevedibili battibecchi fra i soliti noti. Con qualche ritardo rispetto al mandato ricevuto, se ne è accorto il direttore generale della RAI, Luigi Gubitosi. Intervistato da Giovanni Valentini per laRepubblica di ieri, 15 settembre, ammette: “Quello è un format che si sta certamente logorando. Capisco la stanchezza dei telespettatori. I talk-show riflettono una politica che divide e a loro volta alimentano le divisioni. È un circolo vizioso, in cui imperversa un linguaggio sempre più distruttivo”. Peccato che poi, alla domanda di Valentini su come intenda provvedere, il direttore si limiti all’annuncio di qualche interessante programma culturale. Non spiega, Gubitosi, perché per una buona inchiesta giornalistica o una spiegazione approfondita dell’attualità politica il telespettatore di prima serata debba accontentarsi anche quest’anno della domenica/lunedì di Rai 3.
Il fatto è che in un’azienda pubblica come la Rai – “che funziona come una privata” , riconosce lo stesso Gubitosi – il predominio delle opinioni sui fatti serve non solo alla propaganda politica dei partiti che la sovrastano, ma conviene pure all’azienda medesima, che sostituendo le inchieste con interminabili talk-show risparmia in termini di costo per ora di trasmissione e probabilmente guadagna anche in indice di ascolto.
Le risse verbali hanno davvero stancato? Spiegatemi allora perché tanti conduttori, che sono i più direttamente interessati all’auditel (e lo dico con cognizione di causa dopo trent’anni di RAI) si ostinano a scegliere come ospiti i più arrabbiati e sguaiati fra tutti quelli possibili. Credetemi, mi riesce difficile immaginare che l’indice si abbassi quando intervengono Sallusti o laSantanchè. Una riprova è che quando il dibattito è pacato e culturalmente più valido, come nell’Infedele di Lerner, non ha mica lo stesso successo di pubblico. Certo, se il telespettatore medio dopo tre ore di scalmanati talk-show provasse a domandarsi che cosa ha appreso di nuovo dal lungo dibattito, non troverebbe gran che. Tranquilli, non se lo domanderà. Gli basterà di essersi divertito come ad un incontro di lotta, tifando per la sua parte politica. E ora che si sono aggiunti i programmi di Porro e Paragone (il titolo è già una promessa: “Virus”, “la Gabbia”) il format verrà consolidato. Con questo non intendo negare la ben nota professionalità di colleghi come Santoro o Floris, né la buona volontà dimostrata con i brevi servizi sui temi sottoposti al dibattito. Ma la comprensione dei fatti illustrati si confonde con lo scontro verbale successivo lasciando poco spazio all’autonomia di giudizio di chi ascolta.
Tuttavia chi deve fare i conti con la pubblicità commerciale da inserire nelle trasmissioni giornalistiche ( e Santoro ne fa continuamente un vanto come fondamento della sua autonomia) obbietterà ai miei ragionamenti che la realtà politica e istituzionale, per non parlare di quella economica, è spesso complicata e noiosa, come sono necessariamente certe puntate di “Report” o di “Presa diretta”, ciò non toglie che chi riesce a seguirle ha molte più possibilità di diventare un cittadino informato e politicamente maturo. Così il pubblico può assistere per ore ad accalorati duelli sulla legge elettorale o su un ricorso in Cassazione senza che nessuno gli abbia spiegato la differenza tra il proporzionale e il maggioritario, tra la questione di merito e quella di legittimità. Ora io credo – come pare finalmente anche Gubitosi, ma lo attendiamo alla prova dei fatti – che i principali difetti acquisiti dalla democrazia italiana nell’ultimo ventennio – populismi, personalismi, superficialità, arroganza, inattitudine al dialogo – siano non soltanto all’origine ma anche effetto di queste ed altre trasmissioni televisive che della competizione esasperata fanno il motivo ricorrente, in un circolo vizioso che deve essere spezzato.
La lezione del giornalismo anglosassone – tenere i fatti separati dalle opinioni – da noi italiani non ha mai avuto gran seguito, ma oggi le opinioni pretendono addirittura di anticipare e sostituire i fatti, la propaganda si confonde con la notizia e lo scenario politico e istituzionale è diventato quello che tutti abbiamo sotto gli occhi.
Non ne usciremo senza tagliare il cordone ombelicale che lega il servizio pubblico al dominio dei partiti e della logica commerciale, non ne usciremo finché l’ informazione sarà sempre trattata come merce e mai come bene comune.
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