“La nostra è una guerra dimenticata, diventata ’invisibile’a livello della comunità internazionale. I giornali occidentali parlano spesso dei morti nel conflitto del Medio Oriente – ed è giusto. Ma penso che il numero di uomini, donne e bambini che continuano a morire all’est del Congo a causa della guerra e delle sue conseguenze (fame, stenti, malattie, marce forzate…) sia terribilmente superiore. Hanno detto, con ragione, che questa guerra lunghissima, iniziata circa 20 anni fa, è stata la più micidiale (si parla di 5 o 6 milioni di morti) dopo la seconda guerra mondiale. La gente qui non ha più fiducia nelle forze dell’Onu, né nelle dichiarazioni del governo: si chiede se il Signore stesso non l’ha dimenticata”.
Sono le drammatiche parole che padre Pietro Gavioli, direttore del centro Don Bosco Ngangi di Goma, usa per descrivere il conflitto senza fine che infiamma la regione orientale del Nord Kivu in una lettera dello scorso 26 agosto indirizzata ai sostenitori.
Padre Gavioli senza mezzi termini centra il bersaglio. L’attenzione dei media occidentali è tutta concentrata sulle vicende siriane ma ormai è relegato in cantina l’interesse per quella che gli analisti chiamano la Guerra Mondiale d’Africa per l’incredibile numero di morti, sei milioni appunto. Credo che la giornata di preghiera per la pace in Siria voluta da Papa Francesco sia stata determinante per arrivare ad una soluzione concordata per evitare di portare sul baratro di un conflitto mondiale il mondo intero. Ma il prossimo appuntamento di Assisi dovrà essere proprio l’occasione per riflettere sulle guerre dimenticate dai media, sui “conflitti a bassa intensità” ma ad alta mortalità che infiammano il mondo. Il silenzio sui massacri nel Nord Kivu è frutto non solo dell’indifferenza ma di una precisa strategia del mondo occidentale. Nel sottosuolo del Nord Kivu sono concentrate enormi ricchezze: materie prime necessarie alla nuova economia (computer, etc) ed alla vecchia (preziosi, etc.) che alimentano l’industria del pianeta. Gli interessi insomma sono enormi. Le nazioni confinanti (con l’aiuto di bande criminali e militari compiacenti) si prestano senza scrupoli a fare il “lavoro sporco” di controllo dell’estrazione e del trasporto in zone sicure di questo materiale che poi prenderà la strada del mondo sviluppato. In nome di questi interessi si consuma ogni giorno da 20 anni una tragedia che coinvolge milioni di abitanti, costretti nel migliore dei casi alla schiavitù di essere minatori sottopagati e ricattati.
Le giornate di Assisi dovrebbero servire proprio ad aprire il dibattito sui tanti conflitti oscurati dai media e dai governi, come da tempo chiede ad esempio Medici Senza Frontiere con il suo puntuale Osservatorio.
Non dubito che lo spirito francescano di Assisi e del Papa serva ad illuminare quella parte del mondo che vive nel buio mediatico.