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Digiuno, senza ipocrisie. Il caffè del 4 settembre

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Stampa e Corriere della Sera aprono con la Siria. “Più vicini i raid USA”. “Obama trova l’accordo per l’attacco”. Ieri le televisioni di mezzo mondo hanno mostrato il presidente americano a tavola con i leader del congresso. I repubblicani non possono lasciarlo solo. Per anni hanno promosso le guerre di Bush agitando il fantasma delle armi di distruzione di massa in mano agli stati canaglia, per anni hanno sostenuto che l’ONU paralizzata non poteva paralizzare gli Stati Uniti. Ma in Italia si respira un’aria diversa. Papa Francesco ricorda, con un tweet, l’orrore per l’uso dei gas ma insiste “niente si risolve con le armi” e invita credenti e non credenti a partecipare alla giornata di digiuno e riflessione contro la guerra, sabato 7 settembre.

Ricordo un altro Papa e un’altra guerra. Karol Woityila ebbe parole dure contro l’intervento in Iraq. Ma allora non trovò ministri come Bonino, Mauro, D’Alia che gli dessero retta. Solo Curzi e il Tg3, dell’intero mondo dei media, condannarono quello sciagurato intervento a caccia di armi di distruzione di massa che non c’erano, che dopo aver ammazzato sotto gli occhi delle telecamere un presidente tiranno (Saddam Hussein) e dopo troppi morti, ha finito per consegnare il paese dei due fiumi a una guerra strisciante e sanguinosa tra sette religiose e a un governo filo iraniano.

Digiunino, dunque, i forti, quelli che come Luigi Ciotti avrebbero voluto che il mondo insorgesse contro i bombardamenti delle città, quelli che si sono indignati ancora prima contro la tortura ai giovani che osarono sfidare il regime di Assad, quelli che lavoreranno fra la gente, all’Onu e in Europa perché il diritto internazionale diventi una cosa seria, le armi chimiche bandite, i commercianti di morte perseguiti. Ma c’è anche, come scrive Ferrara sul Foglio, un “Digiuno dei pavidi”. Quelli a cui non bastano mai le prove dell’uso delle armi chimiche, quelli per i quali gli americani sono sempre imperialisti e in medio oriente è meglio che se la sbrighino da soli.

Repubblica: “Berlusconi, stacchiamo la spina”. Il Giornale: “A un passo dalla crisi”. Il Fatto Quotidiano: “L’ultimo lodo Schifani. Far saltare la giunta”. Ci risiamo. Ottenuto lo spot elettorale sull’IMU, con i sondaggi che registrano un’impennata, il Cavaliere ordina ad Alfano di fare la faccia feroce con Letta, a Schifani di chiedere a Grasso l’impossibile, cioè di esautorare Pezzopane, Casson rei di aver detto che la decadenza gli sembrava inevitabile, al Giornale di “puntare” Renzi, a Brunetta di attaccare i sindacati.

Ma quello di Berlusconi è un bluff, l’ennesimo. Vuole le elezioni per correre e battere Renzi? “Una lotta all’ultimo sangue di due pesi massimi della comunicazione – scrive Vittorio Feltri – L’esito della quale sarebbe incerto fino all’ultima scheda”. Ma si dovrebbe votare con il Porcellum, perché B possa sperare nel premio di maggioranza e poi in un Parlamento che lo liberi dalle sentenze. Ma qui casca l’asino. Ieri Bersani spiegava a Telese come, caduto il governo e prima del voto, si dovrebbe, si potrebbe comunque approvare la legge di stabilità e cambiare il porcellum. Non credo che il PDL possa impedire che il Parlamento proceda a questi due semplici adempimenti. Neppure se Grillo continuerà a schierarsi dalla parte del Cavaliere.

La discussione sulla legge elettorale è già stata, come si dice, incardinata al Senato, la Giunta per le autorizzazioni potrebbe votare presto a favore della decadenza, la corte d’appello di Milano confermerà a ottobre la pena accessoria dell’interdizione dei pubblici uffici. Silvio deve mollare l’osso. Chiedere la grazia o la commutazione della pena e nell’attesa accucciarsi all’ombra del governo Napolitano-Letta. Oppure arrendersi a Pannella, finire una lunga carriera politica da leader referendario, accettando arresti domiciliari o impegnandosi con “Nessuno tocchi Caino”, ma lasciando gli Alfano, i Brunetta, le Santanché  a determinare da soli il loro destino.

Del congresso del Pd, di Renzi. Civati e Cuperlo ho parlato ampiamente ieri sera in un testo dal titolo “La scelta di Dario”. Aggiungo che pure Pittella, sarà della partita e che Fabrizio Barca rilancia il suo impegno chiedendo sei impegni precisi al futuro segretario. Sono posizioni che meritano di essere esaminate nel dettaglio. Lo farò nei prossimi giorni. Oggi, due parole ancora su Pier Luigi Bersani. A Genova ha ribadito che “I partiti non possono essere protesi dei Leader” e che il Pd deve scegliere “se vuole essere soggetto o luogo politico”.

Caro Pier Luigi, tu hai considerato il partito come “una protesi” durante l’intera campagna elettorale. Circondato da una schiera di intimi collaboratori che ti dicevano sempre sì, non hai visto che sbugiardato dalla candidatura di Monti (altro che governo “tecnico”) e incalzato dai comizi di Grillo, il Pd si stava giocando gran parte del suo credito. Tu, dopo aver voluto gruppi parlamentari tanto compositi da sembrare un arcobaleno, li hai lasciati fuori dalla partita delle elezioni presidenziali, li hai messi davanti al fatto compiuto di un candidato (Marini) scelto dal Cavaliere, ti sei ritirato sotto la tenda quando non te l’hanno votato e non hai spiegato chi ha tradito Prodi e perché. Sei tu, caro Bersani, che hai considerato il Pd luogo e solo il segretario soggetto.

Lo hai fatto, secondo me, perché la cultura politica che è la tua non riesce più a leggere la realtà che viviamo. È tempo di prenderne atto, con umiltà, accettando il confronto con altre culture, un tempo considerate eretiche. È quello che da mesi questo blog va chiedendo.

da corradinomineo.it


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