“Sono un prete normale, rifiuto qualsiasi aggettivo. Sono un umile servitore di Gesù che cerca di fare la sua parte”. Don Stefano Giaquinto, è parroco della chiesa Santa Maria della Vittoria a Casagiove, piccolo comune nel casertano. Durante la messa serale dell’Assunta rivolto ai fedeli ha pronunciato dall’altare una dura omelia denunciando lo spaccio di droga in città, le richieste di estorsioni e una lunga lista di illegalità e chiamato per nome quel demonio solo sussurrato dai molti, camorra.
La ritorsione è arrivata puntuale. Così, la notte stessa di Ferragosto, alle 2, circa, è stato appiccato un incendio poco distante da piazzale Montecupo, dalla sua chiesa e dal centro di recupero per tossicodipendenti fondato oltre 15 anni fa dal sacerdote. Don Stefano è un tipo che non le manda certo a dire e sulla sua bacheca Facebook ha scritto: “Vergognatevi agite sempre all’oscuro. Io, però, vado per la mia strada. Non siete nessuno!”. Da maggio ad oggi, questo è il secondo atto vandalico che si registra ai danni del parroco. Ma lui neppure se ne cura e va dritto per la sua strada..
Durante il nostro colloquio don Stefano non perde occasione per mettere i punti sulle “i”. “Casagiove è un comune tranquillo con i suoi mille problemi che ci sono – sottolinea – c’è un’attenzione molto forte per il cosiddetto asse verso Nord ovvero Casal di principe, San Cipriano d’Aversa e in generale la zona aversana invece la zona Sud quella che comprende Casagiove fino a Piedimonte Matese è un territorio trascurato, abbandonato a se stesso”. Si ferma don Stefano e con calma e schiettezza dice: “Qui invece la camorra, i clan, i problemi sociali ci sono e sono drammatici. Abbiamo un’altra camorra forse anche più aggressiva, pervasiva di quella che ancora si respira a Casal di Principe”. E aggiunge: “Non mi nascondo e nel corso dell’omelia a Ferragosto ho solo detto ad alta voce ciò che vado dicendo da sempre in giro. Se poi qualcuno mi vuole impedire di esercitare il mio mandato di sacerdote allora sta davvero fresco”.
E’ indomito don Stefano ma agisce con estrema normalità. Mentre risponde alle domande ammonisce con un ritornello: “Non sono un vip, non sono un professionista di Dio, non sono un sacerdote con l’aggettivo”. E con commozione ricorda a se stesso: “Papa Francesco a cui voglio un grande bene l’ha detto con chiarezza e forza ‘non lasciatevi rubare la speranza’”. E qui che don Stefano cambia il tono della voce e s’infervora: “Se un popolo non si alza in piedi contro questa maledetta malavita, non denuncia, non alza la voce, non si difende, che cosa fa? Ne diventa complice?” “La chiesa – continua – ha la responsabilità, il dovere di essere guida”. E poi la sferzata: “Il Papa ci ha detto che occorre sentire la puzza del gregge. I parroci, la comunità di fedeli devono uscire fuori, non bisogna più star chiusi in chiesa. Occorre uscire, stare in strada, essere investiti e farsi carico dei mille problemi altrimenti di che testimonianza parliamo? Non si può più stare chiusi dentro ad una sacrestia occorre inseguire i cosiddetti lontani e non certo chi Dio lo cerca e lo trova”.
Don Stefano ritorna con il pensiero all’incendio doloso appiccato accanto alla sua chiesa a scopo intimidatorio: “Questa gente di malavita che si rende colpevole di questi atti vili, li voglio bene lo stesso – spiega – le porte della mia chiesa sono sempre aperte. Voglio dire: non faccio il prete solo per i giovani dell’azione cattolica ma sopratutto per loro, i cattivi. Adesso e non in un altro momento occorre un chiesa controcorrente”. E Don Stefano per rafforzare il concetto sfoggia una singolare e particolare metafora: “Il fondatore della chiesa è Gesù, praticamente il diffidato dalla storia, il primo che ha ricevuto il daspo, insomma lui che ha sempre tifato per l’uomo ma non si è mai tesserato”. E chiarisce: “Voglio bene alla chiesa guai a chi me la tocca però la chiesa deve fare di più”.
“Mi sento e sono un prete normale rifiuto qualsiasi aggettivo sono un umile servitore di Dio non possiedo super poteri cerco di fare la mia parte con il vangelo in una mano e il quotidiano nell’altra”. E conclude con foga : “Il martire Don Peppe Diana è il numero uno, lui ci ha indicato la strada ed è dovere di tutti percorrerla”.