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La resistibile ascesa della Cancelliera

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Afferma sconsolato Franz Müntefering (ex segretario dell’SPD, già braccio destro dell’ex cancelliere Schröder e per due anni vice della Merkel nel governo di Grosse Koalition): “Nel momento del lancio del candidato cancelliere, la campagna elettorale deve essere pronta. È sempre stato così. Quest’anno, invece, non era pronto un bel niente”.

Perché accade tutto questo? Com’è possibile che, dopo otto anni di governo Merkel, i socialdemocratici tedeschi non siano ancora riusciti a costruire un’alternativa credibile e spendibile sul piano elettorale? Il motivo è assai più banale di quanto si pensi, e di quanto sostengano illustri sociologi e politologi: la crisi dell’SPD, infatti, si inserisce nel complesso ambito della regressione politica e culturale di tutte le sinistre europee, ancora più accentuata nel Paese che per ventotto anni è stato diviso dal Muro e che, in seguito al crollo del blocco sovietico e all’agognata unificazione, si è trovato a dover fare i conti con un’economia a due velocità (da una parte, quella florida e in espansione dell’Ovest; dall’altra, quella contratta e afflitta dagli insostenibili cascami del vecchio regime dell’Est). È accaduto così, caso raro ma purtroppo non irripetibile nella storia europea, che le politiche più progressiste e di sinistra le abbiano promosse non i socialdemocratici di Schröder, che anzi si sono lasciati travolgere dall’ondata neo-liberista che investì la sinistra a partire dalla meta degli anni Novanta, con la celebre Terza via teorizzata da Giddens e la dirompente ascesa del New Labour blairiano, bensì i cristiano-democratici di Kohl (la cui ministra dell’Ambiente, nell’ultimo governo, era una certa Angela Merkel), artefici della già menzionata riunificazione e della spinta decisiva verso la nascita dell’Euro e dell’Unione Europea.

Capita, pertanto, che il programma dell’SPD sia talmente fragile e incolore, e che il suo candidato alla Cancelleria, Peer Steinbrück, sia talmente privo di grinta e di idee e proposte innovative, che una militante sessantenne del partito, proveniente per giunta dalla roccaforte rossa del Nordreno-Vestfalia (governata, non a caso, da quella Hannelore Kraft che molti militanti e sostenitori dell’SPD avrebbero voluto vedere al posto di Steinbrück), sia arrivata a dichiarare all’inviato de “il manifesto” a Berlino, Jacopo Rosatelli: “Merkel è brava, peccato non sia con non nell’SPD”, aggiungendo poi: “Dobbiamo aiutare di più i paesi in difficoltà, le cifre della disoccupazione giovanile in Spagna o Grecia sono davvero terribili. Noi siamo un partito di lavoratori e dobbiamo pensare ai lavoratori dell’Europa meridionale, non alle banche. E non possiamo dimenticare che la storia impone a noi tedeschi precisi doveri di solidarietà”.

La signora Annelie si trovava a Berlino in occasione di una sorta di festa dell’Unità dell’SPD, concentrata in due giorni e svoltasi presso il Tiergarten, l’enorme parco situato al centro della capitale tedesca, organizzata dai vertici del partito nel disperato tentativo di contrastare ciò che oramai appare ineluttabile, ossia l’ampia vittoria della Merkel alle elezioni federali del prossimo 22 settembre.

Stando agli ultimi sondaggi, difatti, pare che la CDU dovrebbe attestarsi intorno al 40,2 per cento contro il modesto 24,7 dell’SPD, il 14,2 dei Verdi e il 7,5 della Linke (quella che in Italia chiamiamo “sinistra radicale”); interessante, a tal proposito, sarà valutare il risultato dei liberali dell’FDP, attualmente dati intorno al 5,2, dal quale dipende la possibilità, per la Merkel, di formare un nuovo governo puramente di destra, scongiurando la riproposizione delle larghe intese, e quello delle due formazioni dichiaratamente anti-sistema: i Piraten e Alternative für Deutschland, erroneamente paragonati da alcuni commentatori di casa nostra al Movimento 5 Stelle, col quale tuttavia hanno entrambi diversi punti in comune.

Lo scenario più probabile, dunque, anche a causa del cospicuo arretramento dei liberali rispetto alle elezioni federali del 2009, è proprio il ritorno della Grosse Koalition, come confermato anche da una recente dichiarazione della Merkel: “Nessuno desidera veramente una grande coalizione ma l’ho già presieduta una volta, perderei ogni credibilità se la dovessi escludere”.

E il resto d’Europa? Quali saranno le conseguenze per il futuro dell’Unione Europea? Ha scritto Rocco Cangelosi su “l’Unità” dello scorso 9 agosto che “l’SPD è l’unico partito che potrebbe favorire un minimo cambiamento e accelerare i processi volti a introdurre una maggiore solidarietà con la mutualizzazione del debito e una politica di investimenti a livello europeo”. Se ci pensate, è esattamente la posizione della signora Annelie. Peccato che non sia quella di Steinbrück e dell’SPD, i cui vertici, al pari della dirigenza di quasi tutti i partiti progressisti del Vecchio Continente, sembrano più preoccupati di non disturbare l’attività occulta delle lobbies e di assecondare gli istinti primordiali dei rispettivi popoli che di promuovere e difendere un modello sociale, economico e di sviluppo radicalmente alternativo a quello barbaro imposto dall’oramai trentennale egemonia neo-liberista.

Come detto, si tratta innanzitutto di un problema culturale: una patologica incapacità di ascoltare le richieste della base e un’imbarazzante mancanza di coraggio di smarcarsi dalla gabbia del conformismo imperante e presentare idee e proposte in netto contrasto con quelle che ci hanno condotto nel baratro. E come è noto ad ogni latitudine, tra la copia e l’originale, specie in tempi di crisi, la gente tende a preferire l’originale.


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