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Caso Dall’Oglio: chi è morto?

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Sai Paolo,
mentre alcuni parlano di te non per quel che ti ha obbligato a rientrare in Siria, la pulizia etnica, i bombardamenti a tappeto di interi quartieri e villaggi, e il terrorismo che questi inauditi crimini contro l’umanità hanno di conseguenza prodotto, io per parlarti sono dovuto andarmi a riprendere un libro che ho letto quasi mezzo secolo fa, “L’uomo in rivolta”, di Albert Camus. Quanto lo criticarono Sartre e gli altri “ortodossi” al povero Camus, per aver scritto questo capolavoro. Quasi quanto certuni, che si ritengono ortodossi anche loro, criticano o hanno criticato te, la tua scelta di essere in compagnia di Gesù e del tuo amato popolo siriano.

Ho ben presente come nella vostra “letteratura” sovente si dica, si scriva, si affermi che la fede nasce da un “sì”, sì a Gesù ovviamente. Camus comincia il suo libro dicendo che l’uomo in rivolta scaturisce da un “no”: il no dello schiavo alla schiavitù, alle condizioni in cui il padrone lo tiene. Poi, dalla rivolta fisica, si è passati a quella metafisica, e così il “no” per molti uomini in rivolta è diventato no a Dio.

Ti ho sempre pensato uomo del “sì” e quindi uomo di quel primo “no”, “uomo in rivolta fisica”, perché il cuore dell’uomo in rivolta è inevitabilmente rivolto verso Dio. E’ lo stesso Camus che mi ha confermato in questa convinzione, quando dice che senza cristianesimo non poteva esserci “rivolta”, neanche quella “metafisica”, visto che già Lucrezio spiegava che le divinità sono “estranee alle nostre faccende dalle quali sono affatto distaccati”. Di rivolta metafisica non si sarebbe mai parlato con loro, solo il cristianesimo la poteva causare; la rivolta contro il Dio con un cuore di carne, quello che Camus chiama “un dio personale, al quale la rivolta può domandare personalmente dei conti.”

Ogni pagina di Camus mi parla di te, e in questi giorni mi ha aiutato a dialogare con te nel persistente silenzio. Vive straziato tra la rabbia e la ragione, l’uomo in rivolta di Camus, un curioso riferimento al titolo del tuo ultimo libro, “La rabbia e la luce”, un riferimento che mezzo secolo fa, quando l’avevo letto, non avevo potuto cogliere.

La morte è la grande protagonista dell’opera di Camus, insieme all’ingiustizia. Proprio come nel caso del tuo amore disperato per la rivoluzione siriana. E le tue ultime scelte, compresa la grande missione di pace nella quale sei impegnato, nascono dal “sì”, il sì a Gesù, e il no dell’uomo in rivolta, non certo quella metafisica, ma quella fisica, quella contro la schiavitù da parte dello schiavo. Così, carissimo padre Paolo, sj, mi è venuto spontaneo domandarmi in queste ore difficili: chi è morto? Qualcuno lo dice di te, io invece mi chiedo se non siamo morti noi.

Noi che neanche davanti al tuo silenzio ci chiediamo “possiamo vivere a pochi passi da un genocidio”? Possiamo vivere in braghe da spiaggia davanti al sangue che arrossa il Mediterraneo? Sembra di sì, indifferenti anche al no “che tu hai gridato” scegliendo la rivolta disarmata, per portare un barlume di fede e di speranza dove si è fatto scempio dell’uomo. Barlume che a noi non riguarda.
I tremila bambini torturati e seviziati, le violenze sessuali su detenuti e detenute,cosa ci dicono? In Siria per noi sono un accidente della storia, forse una balla, o un evento “inevitabile”. Dal fronte che ti è avverso si è arrivati parlare della tua missione come una “pagliacciata propagandistica”. Che pena. Che sofferenza.Posso dire che “rabbia”, Paolo?

Si, padre Paolo carissimo, si parla di te, ma a essere morti siamo noi, tu no. Tu hai portato la ragione e la fede nella rivolta dell’uomo contro chi lo deturpa, contro un’ingiustizia perpetrata dal mondo da due anni ai danni di un popolo che ha detto “no”, ma non un “no” metafisico, un “no fisico, umano”, un no pieno di amore per la libertà, la dignità e il rispetto, che a te apparirà certamente figlio della legge d’Abramo.

Nel tuo ultimo libro ci hai detto che, in occasione del tuo precedente viaggio clandestino in Siria, da dove il regime della famiglia carnefice di Assad ti aveva espulso, avevi avvertito l’esigenza di scrivere testamento. Un lusso che molti siriani non si potevano permettere. Non ti saresti comportato da irresponsabile, assicuri in quel libro, ma avvertivi il bisogno di andare a pregare sulle fosse comuni in riva all’Oronte, dove la furia assassina dei pianificatori della pulizia etnica aveva calato l’asso della furia devastante e disumana. Lì dovevi raccoglierti in preghiera. Perché, sebbene non avresti fatto azioni irresponsabili, non avresti neanche accettato di vivere senza verità e testimonianza. Noi invece lo accettammo allora e lo accettiamo oggi, pronti a tacere, con gli occhi bendati, mentre festeggiamo Ferragosto. Incapaci anche di pensare che agosto potrebbe essere il mese della “testimonianza”, con te”, per la dignità dell’uomo.
Tu invece sei lì, vivo, ad avvicinare il giorno in cui Siria sarà sinonimo di resurrezione. Grazie. Grazie ancora una volta. E’ un grazie di cuore, commoss


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