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L’Italia è (sempre di più) ostaggio di Berlusconi

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Ho scritto più di quindici giorni fa che l’Italia continua ad essere ostaggio di Berlusconi. E ho letto ieri, negli atti di un convegno della “Costituente delle idee” che si è tenuto il ventuno giugno scorso (una iniziativa che sta nascendo nel Partito democratico alla quale ho dato la mia adesione di vecchio sostenitore della coalizione di centro-sinistra) che il nostro problema non è di essere antiberlusconiani ma di nutrire con idee e con soluzioni politiche una prospettiva nettamente alternativa a Berlusconi e alla destra italiana, che ha appena rispolverato bandiere e vessilli di Forza Italia per il prossimo scontro elettorale. Quel che capita ogni giorno in questo paese – e lo si è visto con chiarezza nelle ultime ore di fronte alle parole di Giorgio Napolitano – non fa che dimostrare l’affermazione iniziale. E’ bastato oggi ascoltare con attenzione tutti i telegiornali e leggere gli editoriali dei quotidiani, dai più diffusi a quelli più vivaci e collocati all’opposizione del governo delle “larghe intese”, guidato da Enrico Letta e Angelino Alfano, per arrivare alla malinconica  conclusione che – a meno di un mese dalla ripresa che seguirà al ferragosto e alla seconda metà dell’ultimo mese  estivo – non  possiamo ancora  immaginare con chiarezza come si evolveranno le vicende della nostra politica. Eppure dubbi sulle parole del presidente sono possibili soltanto se non si vuole leggere in buona fede quel che Napolitano ha ritenuto di dover scrivere con grande serenità. La grazia non avrebbe potuto essere concessa, secondo norme e prassi costituzionali, perché è necessario che un avvocato difensore proponga la misura e il ministro della Giustizia istruisca la pratica relativa. Quanto all’agibilità  politica del condannato, questa è regolata dalle leggi e da ulteriori passaggi procedurali. La legge vigente è quella del 2012 che fissa, per chi è stato condannato a pene accessorie, come quelle inferte dalla sentenza definitiva di Cassazione, l’interdizione dai pubblici uffici e si tratta di una pena accessoria che non può, in ogni caso, rientrare in un procedimento di clemenza del Capo dello Stato. Che cosa resta dunque a un parlamentare come Silvio Berlusconi, diventato senatore nelle elezioni politiche del 24-25 febbraio scorso, se non la residua  possibilità di chiedere alla corte di Appello di Milano (come ha stabilito la sezione feriale della Corte Suprema di Cassazione) la riduzione da cinque a tre degli anni di interdizione dai pubblici uffici e la richiesta  al giudice di sorveglianza di essere inviato per scontare la pena di un anno ai servizi sociali, come avvenne, peraltro nel 2002, per un altro ex presidente  Consiglio come il democristiano Arnaldo Forlani. Null’altro dovrebbe potersi aspettare il senatore Berlusconi in attesa di essere giudicato nei prossimi mesi da altre corti giudiziarie per altri e magari più gravi processi. Ma, a leggere tutti i quotidiani della penisola, da quello diretto a lungo da Eugenio Scalfari che ha sempre esercitato una forte critica nei confronti del cavaliere di Arcore a quelli che cercano di parlarne con distacco – come accade quasi sempre al grande quotidiano milanese che è stato in passato con direttori come Luigi Albertini e, per certi aspetti, continua ad essere l’organo deputato ad esprimere gli umori della grande e media borghesia italiana – infine a quello di famiglia del cavaliere di Arcore, si ha come l’impressione che la nota del Quirinale riservi (ma dove,continuo a chiedermi?) senza riuscire a trovare con chiarezza il luogo – spiragli e porte aperte o almeno socchiuse alle azioni del condannato. Mentre a me, che da alcuni decenni seguo assiduamente la nostra politica, sembra soltanto di vedere la necessaria cortesia del presidente verso un uomo che fa ancora parte del Senato, (che ha dominato, ahimè, fruendo di molte complicità anche a prima vista insospettabili, l’ultimo ventennio della storia repubblicana) e che ora sta per uscire dalla scena, a meno che non ci sia un cedimento del tutto gratuito da parte delle massime istituzioni e della medesima coalizione dei suoi avversari.


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