Sinistro, destro. Due bei colpi messi a segno. Poi, per voler strafare, il pugile finisce stretto all’angolo. Così Enrico Letta, ieri 8 agosto. Gancio sinistro: decreto a protezione delle donne vessate, minacciate, aggredite e uccise. “Femminicidio, via da casa i mariti violenti e per gli stalker carcere obbligatorio”, è il titolo di Repubblica. Bel colpo. Non so perché procedere per decreto, forse perché l’abitudine di espropriare il parlamento è così forte da doversi procedere per decreto anche sui temi che uniscono e non dividono. Come che sia è un buon giorno quello in cui si denuncia la guerra contro le donne e la civiltà che avvelena l’Italia e il mondo. Il Premier ha sentito il dovere di ringraziare Josepha Idem, parziale risarcimento per le dimissioni che aveva chiesto a lei, e non ad Alfano, gratitudine per il gran lavoro che l’ex ministro stava facendo. Bravo!
Diretto destro. “Saccomanni riapre il caso IMU”, Corriere della Sera. “Il tesoro: Iniquo abolire l’IMU”, La Stampa. Proprio mentre si comincia a sentire qualche refolo non dico di ripresa ma di arresto della crisi, il ministro Saccomanni spiattella i conti di quanto ci costerebbe onorare le promesse elettorali del condannato per frode fiscale allo Stato, Berlusconi Silvio. L’abolizione dell’IMU sulla prima casa costerebbe 4 miliardi. Ridarebbe a un contribuente con reddito superiore ai cento milioni tre volte di più di quel che ritornerebbe nelle tasche di un operaio o di un pensionato. Per il ministro, abolire l’IMU sarebbe la peggiore delle soluzioni. ”Saccomanni gela il PDL”, scrive La Repubblica. E Letta fa canestro perché costringe quelli che lo ricattano a venire allo scoperto.
Poi, di sera, durante una riunione frettolosa della direzione del Pd, riunione che è servita solo a fissare la data (il 20 settembre) in cui l’assemblea nazionale avvierà il percorso congressuale, Letta strafà e si chiude all’angolo. Spiega che se il suo governo dovesse cadere sarebbe inevitabile andare al voto e dopo le elezioni tornerebbero, probabilmente, le larghe intese. Come politologo non c’azzecca. Primo: non è affatto detto che caduto il governo si voti subito. Il Parlamento potrebbe varare una buona legge elettorale. Approvare misure indispensabili contro la corruzione. Abolire il finanziamento dei partiti, almeno nella forma attuale. Varare una legge sul conflitto d’interesse. Fare la legge contro l’omofobia. Con quale governo? Anche uno di minoranza, se il programma fosse chiaro e limitato. E poi, e poi, e poi…non aveva detto Napolitano che non avrebbe sciolto di nuovo le Camere, che piuttosto si sarebbe dimesso?
Presidente Letta, mi creda: dire “sarebbe irresponsabile andare a votare” e poi aggiungere “se cade il governo andremo a votare”, rivela un’imbarazzante coda di paglia. Tanto più che questo sentire rimuove il problema “politico” del momento. Con Berlusconi ai domiciliari, con Berlusconi che non può più guidare la coalizione composita e insincera che conosciamo come centro destra, le larghe intese sarebbero già morte. Perciò il Cavaliere chiede una soluzione al suo problema, un’amnistia, un salvacondotto, un elisir che lo risusciti. Lo esige come condizioni per onorare il patto con Napolitano e tenere in piedi il governo. Altrimenti la fine dell’esperienza detta delle larghe intese è già segnata. Giusto il tempo di saggiare sulle spiagge il nuovo vecchio simbolo “Forza Italia”, di affidarlo alle cure della figlia prediletta Marina, di dimostrare che il Premier in forza è ancora più ossequioso dei dettati della Merkel di quanto non fosse Monti, e il miracolo sarebbe pronto. Che farebbe lei, a quel punto, presidente Letta? Ci verrebbe a chiedere un salvacondotto con mister B? Si dimetterebbe lei, sotto il peso dei ricatti della destra e proverebbe a guidare il centro (non la sinistra, a quel punto) contro una destra ringalluzzita dall’opposizione e dal “martirio” del suo capo storico?
Mentre il Premier si affanna nell’angolo, parte il bombardamento contro chiunque disturbi questo schema. Leggete Pierluigi Battista, maestro di tutti i terzisti, cioè di quei giornalisti che, fingendosi imparziali, hanno sempre coperto le malefatte di mister B. “Renzi – scrive Pigi Battista – sembra essere diventato il paladino di quella sinistra politica (e non solo) che vorrebbe la fine del governo Letta in tempi rapidissimi. Per questo rischia di alienarsi quel consenso e quella simpatia dell’elettorato berlusconiano che è sempre stata la sua forza”. Diventando simili a Berlusconi, non ci si aliena la simpatia… ma se prendi a somigliarli, gli elettori, poi, preferiscono l’originale! Già visto. L’imperativo oggi non è quello di ruffianarsi la destra sociale, istituzionale, criminale che si è riunita intorno a Berlusconi. Al contrario, bisogna battere, rompere quel blocco, che ci ha portato a perdere il 14 per cento del reddito nazionale in venti anni. È questa la condizione necessaria per risanare i pozzi, per salvare il paese. Se non vogliamo continuare per sempre a giocare a guardie e ladri, con le guardie che vengono presentate come più marioli dei ladri. “Gli altarini del giudice (Esposito)”, titola anche oggi il Giornale. “Cacciare B non c’è fretta, punire Esposito d’urgenza” è la risposta, simmetrica, del Fatto.
Si fa vivo con un tweet anche Grillo: “può il giovane ebetino di Firenze dimostrare che i suoi 55 parlamentari non hanno contribuito, dietro suo ordine, all’impallinamento di Prodi e quindi alla nascita del governo guidato di fatto dal suo amico Berlusconi?”
Che dire? Fa piacere che oggi il fondatore del Movimento 5 Stelle si dispiaccia per il fatto che Prodi non sia stato eletto Presidente. Tuttavia fu proprio M5S, dopo aver contrapposto Rodotà a Marini mettendo efficacemente in mutande Bersani, a non voler votare Prodi alla quarta chiamata, quando bastava la maggioranza più uno dei grandi elettori per fare il Presidente. Ricordo, per quel che vale, di aver chiesto, anzi di aver pregato i loro grandi elettori a votare Prodi. E non perché io abbia mai nutrito una particolare simpatia per l’ex presidente della Commissione europea, il mio candidato era Rodotà ben prima che Grillo lo adottasse. Ma perché, con tutta evidenza, se 5 Stelle avesse votato Prodi, i 101 sarebbero rimasti un incidente, solo un gruppo di traditori senza faccia, non la prima pietra su cui costruire il ritorno di Napolitano e le “larghe intese”. Deputati e senatori a 5 stelle mi risposero: “mai, voteremo Rodotà fino alla cinquantesima”. La fine è nota. Grillo è oggi il primo pentito a 5 stelle!