Antidoping, Donati: intensificare controlli, rompere il sistema

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di Roberto De Benedittis

L’intervista a cura di Roberto De Benedittis//Un’indagine realizzata dai carabinieri del Nucleo antisofisticazione e sanità ha portato alcuni giorni fa ad accertamenti nei confronti di otto atleti, ai vertici della specialità dei 100 metri, risultati positivi ai controlli antidoping del Wada. Il rischio di perdere credibilita’ nel mondo dello sport e’ alto. Di questo e tanto altro abbiamo parlato con il  Prof. Alessandro Donati, uno dei massimi esperti dell’antidoping mondiale, consulente della Wada (Agenzia mondiale antidoping), autore fra l’altro del libro “Lo Sport del Doping”, (edizioni Gruppo Abele) .

 

Prof. Donati, gli ultimi accadimenti, il successo del suo libro, oltre 10.000 copie vendute e 90 presentazioni richieste in tutta Italia, sembrano aprire nell’opinione pubblica delle sensibilità diverse nella lotta al doping. La funzione sempre più efficace dell’antidoping sta cambiando qualcosa?
Sta cambiando soprattutto la pressione, molto maggiore che in passato delle inchieste giudiziarie e, più in generale del lavoro di intelligence che la WADA, in collaborazione con Interpol, ha sviluppato con le forze di polizia di diversi Paesi. Anche nel caso di Asafa Powell, come si è visto, contestualmente all’accertamento della positività è stato studiato e realizzato un blitz dei carabinieri dl NAS che ha consentito di sequestrare diverse confezioni di farmaci ora all’esame del Ris di Parma. Quanto ai controlli antidoping siamo molto lontani dall’efficienza e, paradossalmente, lo dimostra la stessa positività dei giamaicani per un “semplice” stimolante che certo non può essere la causa di quelle muscolature ipertrofiche che portano a correre in giro per il mondo. Si trattava di un controllo in gara, perciò con data nota e tutte le possibilità di organizzarsi per eluderlo. Potremmo considerare i controlli antidoping più efficienti se aumentassero in misura considerevole i controlli a sorpresa. Parlo di sorpresa vera ovviamente. Se, per esempio, le Federazioni internazionali, iniziassero a tartassare di controlli a sorpresa la miriade di atleti che hanno “saltato” più controlli a sorpresa spesso adducendo giustificazioni ridicole? Ed a proposito di test antidoping “saltati”, le Federazioni internazionali non coprono di fatto il doping quando solo dopo la terza “fuga” o assenza in 18 mesi da un controllo a sorpresa fanno scattare la sanzione per doping? Gli atleti “giocano” con questa generosa concessione e spesso, trascorsi i 18 mesi, ricominciano a diventare irreperibili.
Quali sono i rimedi per chiudere questa vicenda almeno negli sport individuali, pene più severe, passaporto biologico o altro?
Giunti a questo stato di gravità del problema doping, almeno per le sostanze ormonali – che poi sono quelle che producono i maggiori effetti dopanti – occorre squalificare gli atleti a vita, a meno che non decidano di collaborare con gli organi sportivi disciplinari rivelando le eventuali responsabilità a monte di altri soggetti. Ma ha un senso immaginare le istituzioni sportive che incoraggiano gli atleti a rilevare fatti imbarazzanti per molti? Anche quella di sviluppare un sempre più completo ed efficace passaporto biologico è una strada promettente ma poi i controlli sul sangue li attuano le istituzioni sportive? Insomma le strade ci sarebbero ma, per risultare efficaci, necessiterebbero di un deciso passo indietro delle istituzioni sportive. La strada l’ha indicata da anni la WADA: creare agenzie nazionali antidoping indipendenti, con l’aiuto dello Stato. Il CONI questo invito l’ha accolto a modo suo: accaparrandosi il controllo dell’Agenzia e collocandola direttamente al Foro Italico. Con queste furbizie da quattro soldi non si va lontano.
 
Non si potrebbe ipotizzare, come succede per i reati delle attività criminali, la confisca dei beni acquisiti attraverso i risultati “dopati”, sia per gli atleti, ma anche per i tecnici, dirigenti ed i medici conniventi?
Nel 2008, durante il passato Governo Prodi, con la collaborazione di un insigne magistrato e del principale investigatore italiano antidoping, rivisitammo l’attuale Legge antidoping proponendo alcune modifiche tra le quali proprio quella relativa alla confisca dei beni alle persone coinvolte nella commercializzazione illegale delle sostanze dopanti. Nonostante il parere favorevole del Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero, l’iniziativa fu però bloccata dall’onorevole Giovanna Melandri che aveva la delega per lo sport ma che si preoccupava, prima di ogni altra cosa, di promuovere se stessa e di evitare contrasti con il potere sportivo. Insomma il classico politico deresponsabilizzato socialmente ma dedito alla personale ricerca del consenso.
 
Cosa cambiare nello sport del futuro? Lo sport rischia di non attrarre più il grande pubblico ed al tempo stesso non essere più quella grande risorsa “etica” che dovrebbe essere. La conseguenza è che anche gli sponsor potrebbero decidere di investire su altri campi.
Creare per l’attività motoria e sportiva dei bambini, fino alla preadolescenza, un’organizzazione autonoma rispetto alle Federazioni sportive, con il fine di tutelare il loro diritto al gioco, di conoscere, attraverso una pratica polisportiva le diverse discipline per poi, giunti all’adolescenza, sceglierne una. In questo modo si eviterebbe la specializzazione precoce che è una inutile forzatura, si attenuerebbe l’abbandono precoce che attualmente imperversa e, in definitiva, si disinnescherebbe una delle cause del doping. La proposta è di costituire una Confederazione dello sport giovanile, con istruttori formati dallo Stato (a somiglianza di ciò che accade attualmente in Francia), preparati per educare e formare i giovanissimi, per farli appassionare all’attività sportiva affinché la pratichino poi per tutta la vita. Ciò consentirebbe di rilanciare il ruolo della Scuola e all’attività sportiva nella Confederazione potrebbero collaborare le stesse società sportive offrendo a rotazione l’opera dei propri istruttori. E’ un discorso complesso che meriterebbe di essere dibattuto in un’ampia Conferenza alla quale partecipino operatori sportivi, insegnati scolastici, medici pediatri, psicologi ed altre figure professionali idonee a delineare una pratica sportiva infantile e giovanile accattivante, serena e naturale.
Per gli atleti che entrano a far parte delle nazionali giovanili, potrebbe essere una soluzioneimporre l’obbligo del passaporto biologico? Chi si discosta dai parametri medi va fermato. Per il suo bene, e per evitare gli imbrogli
Potrebbe essere un bel passo avanti ma per compierlo c’è bisogno di dirigenti e di medici che vedano qualche centimetro più in là della mera prospettiva sportiva. Infatti, il passaporto biologico, prima ancora di essere uno strumento di prevenzione del doping, serve ad avere una “mappatura” dei diversi parametri fondamentali di un giovane, anche allo scopo di verificare, attraverso un monitoraggio periodico, la conservazione del suo buon stato di salute o, sfortunatamente, l’evidenziarsi di patologie da affrontare tempestivamente. Il fatto è che la definizione del profilo ematologico di un giovane atleta, ne renderebbe poi pressoché impossibili o molto difficili eventuali manipolazioni a fine di doping e questo limiterebbe le “grandi prospettive” di risultati verso le quali le Istituzioni sportive di solito mirano, al di là dei limiti naturali delle persone.

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