“Processo Berlusconi, scontro nel Pd”, Repubblica. “Pd nel caos: basta autogol”, Corriere. “Pd sul punto di esplodere: 70 in rivolta”, Il Giornale. “In ginocchio dal caimano. Gli elettori Pd in rivolta”, Il Fatto Quotidiano. “Berlusconi: avanti con Letta. Ma scoppia la rivolta nel Pd”, La Stampa.
70 senatori del partito democratico, ieri, hanno sottoscritto un documento. Con affetto hanno chiesto anche a me di firmarlo. Li ho ringraziati ma non l’ho sottoscritto, cogliendo in un paio di frasi del testo la possibilità che a strumentalizzarlo fossero proprio le persone (i dirigenti del Pd) che quel disagio avevano provocato. Nel documento si riconosce come il Popolo della Libertà abbia “strumentalizzato (la pausa di tre ore, chiesta e concessa) per drammatizzare le vicende giudiziarie del proprio leader”. Non uno dei firmatari si sente solidale con il Cavaliere né pensa che a giusto titolo si presenti come perseguitato dai giudici. E tuttavia il documento aggiunge: “sapevamo che non stavamo creando un governo di larghe intese con Angela Merkel, David Cameron o Nicolas Sarkozy”. Berlusconi è l’anomalia italiana, con lui ci siamo alleati, per necessità. “Ma pensiamo che non siano cambiate le condizioni di urgenza….che è demagogico invocare il ritorno alle urne quando tutti sappiamo che il porcellum ci restituirebbe un parlamento altrettanto diviso”. Dunque? “Piacerebbe uno scatto d’orgoglio…vorremmo che siano comunicate meglio le nostre ragioni…non facciamoci travolgere dalla disinformazione e da qualche protagonismo interno che fanno il gioco di chi vorrebbe delegittimare politica e parlamento”
Tra le firme quelle del professor Tronti e di Manconi, di Felice Casson e di Migliavacca, che ha gestito la campagna elettorale con Bersani, di Gotor e di Stefania Pezzopane, delle due capo gruppo nelle Commissioni di cui faccio parte, Lo Moro e Puglisi, delle senatrici siciliane Padua e Orrù, del professor Guerrieri, uno degli economisti che avete più spesso apprezzato a Rainews24, di Laura Puppato e della senatrice che guida il voto in aula, Ghedini. Meritano rispetto. Non intendo usare il loro disagio e mi permetterò solo di mettere in linea, uno dopo l’altro, alcuni fatti avvenuti nelle ultime 48 ore. In Senato, a differenza della Camera, tutto il Pd (non ho votato perché non ero in aula) ha detto sì, ieri l’altro, alla pausa di poche ore chiesta dal PDL. Perché questa è la consuetudine e senza in alcun modo voler concedere una qualche legittimazione a Berlusconi e alla sua campagna contro la Cassazione. E lo spogliarello di Crimi, i senatori di Sinistra ecologia e libertà che gridano insieme a 5 Stelle, poi il mail bombing sul “vergognoso” cedimento hanno provocato sorpresa, persino stupore e fastidio.
Ma in Senato, ieri pomeriggio, ci siamo riuniti per concludere una lunga assemblea in tre tappe sugli F35. E lì, come ho già scritto, il capo gruppo Zanda ha aperto l’assemblea parlando della corda tesa, del rischio di una crisi di governo, citando Kennedy sul coraggio di essere impopolari (e accusando così certi dirigenti e gli stessi senatori di non voler difendere le posizioni del partito all’esterno). Infine ha chiesto a Casson, primo firmatario, di ritirare la mozione sugli F35 e di convergere sullo stesso testo approvato (insieme al Pdl) alla Camera. Si è votato. E contrari alla linea del capo gruppo sono (siamo) rimasti solo in 19. C’è stato, per la verità, un altro episodio in quell’assemblea, che mi riguarda personalmente. Ero già intervenuto, giorni fa, sugli F35; ma ho chiesto ancora la parola per 60 secondi. Ho detto che il gruppo dirigente del Pd stava leggendo male la politica, che quello di B era un bluff, perché per il Caimano questo governo è l’estremo riparo. Ho detto che il Pd non può continuare a farsi paralizzare dai ricatti e dalla paura. Intervento non gradito. Un senatore mi ha accusato di “fare lezioni” senza nemmeno aver passato l’esame delle “primarie”.
Ma il giorno dopo, ieri, i senatori del Partito Democratico hanno potuto constatare come quello di Berlusconi fosse effettivamente un bluff, sono stati informati delle incertezze, dei passi avanti, indietro e di lato dei loro massimi dirigenti, si sono convinti che certe dichiarazioni, di adesione e di critica, fossero, in realtà, più legate a un posizionamento congressuale che a un impulso politico o etico. E l’hanno buttata …. in comunicazione! Ci vuole orgoglio, comunichiamo meglio. In questo sbagliano, perché la cattiva comunicazione è sempre conseguenza di una cattiva politica o di un mancato chiarimento politico. Il Pd appoggia “il governo di necessità”, presieduto da Enrico Letta, con il timore continuo di poterlo mettere in difficoltà. Il gruppo dirigente reale (premier, segretario, capi corrente) non si fida della base, che ritiene troppo sensibile ai tweet degli elettori delusi e dei 5stelle, né si fida dei gruppi parlamentari. Questo rischia di paralizzare la nostra azione politica nelle istituzione. E da qui muove il disagio. Credo che i 70 senatori abbiano voluto dire: noi ci siamo, non possiamo solo votare (di continuo) provvedimenti d’iniziativa governativa, presentare qualche interrogazione, intervenire sui temi più svariati…a fine seduta.
Ieri, mentre si svolgeva tutto quel che ho provato a raccontare, me ne stavo in disparte, in attesa di un chiarimento nel mio gruppo. Intanto ho provato a dialogare, via twitter, con i famosi “delusi” del Pd, che sono ormai (o che sono sempre stati, non importa) entusiasti grillini. Berlusconi ricatta e Grillo sciala, ho scritto. Perché Beppe non vuole che i suoi facciano politica e tanto meno desidera che il Pd si distingua dal PDL. Chiede le elezioni, ma non sa offrire una prospettiva. Ecco il punto che ho tenuto. Dall’altra parte, insulti a me “vecchio bacucco, cala mutande, pezzo di merda”, insulti al Pd, elogi a Grillo che “propone tutti i giorni” e noi, “corrotti”, non aderiamo alle sue proposte, accuse di far tutto quel che facciamo per soldi (i “loro soldi”, quelli con cui pagano “la politica”) e per paura di perdere (come avrebbe detto Bossi) la cadrega. Molto interessante. Diciamo che ci sono tra gli autori di questi tweet alcuni professionisti dell’insulto, ma ci sono anche persone vere. Solo che usano la rete come il televisore al tempo di B. Comodamente seduti sul divano, si immaginano protagonisti. I loro soldi, cittadini come loro, aprono il senato come una scatoletta: Credono di vedere e di sapere tutto, ma non vedono e non sanno quasi niente. Sparano giudizi con la velocità della luce e, quando la parola non aiuta, giù con gli insulti.
No ragazzi, no amici di twitter, questa non è democrazia. Non contate niente. Come le tricoteuses, le beghine che facevano la maglia all’ombra della ghigliottina, vi godete cadere (solo virtualmente, per fortuna) le teste di quelli che Grillo porta sul patibolo con la carretta del suo blog. E a me pare segnato anche il suo destino: anche il povero Beppe finirà come Robespierre. Qualcuno si alzerà un giorno e griderà che il rivoluzionario deve essere rivoluzionato. Virtualmente, con una testa ricciuta che cadrà (virtualmente) proprio davanti ai vostri divani.
No, questa non è politica. Ha ragione il senatore del PDL che lo ha detto in aula: fa sorridere Crimi che per protesta si toglie giacca e cravatta, poi se le rimette per andare al ristorante del Senato. Fa pena parlare delle diarie dei senatori dissidenti e non parlare degli stipendi dei manager, di quello di Scaroni (6milioni e 200mila euro). E soprattutto è inammissibile che una forza che si pretende così tanto etica non tenti di allearsi con il Pd per migliorare un po’ la condizione di operai e insegnanti. Ma voi siete benaltristi. Ben altro ci vuole per salvare il paese. Intanto, espropriati di ogni diritto fingiamo di esercitarlo in rete. Sul divano di casa