Il -“made in Italy” che produciamo, non ce lo possiamo più permettere. E’ questa, in soldoni, l’analisi che viene dalle stime della tenuta dell’export – con eccellenze ed ampliamento dei mercati extra UE – a cui fa da controcanto la rarefazione della domanda interna ed un suo posizionamento verso la gamma medio-bassa.
Insomma continuiamo a produrre il bello, il buono ed il lusso, ma sempre più per altri e non per noi.
C’è una strategia di “sopravvivenza alla crisi” comprensibile in questo ridimensionamento, ma non può durare troppo a lungo.
Gli stranieri comprano i nostri prodotti, per avere l’emozione di essere anche loro “un po’ Italiani”; per entrare nell’ “Italian style, fatto di gusto e personalità. Se non siamo più noi Italiani i primi “indossatori” dei nostri prodotti e i promotori della nostra gastronomia, la magia del “made in Italy” ne risentirà.
Non dobbiamo rassegnarci al mediocre, perché i nostri manufatti si vendono solo se incorporano la nostra cultura.
Non dobbiamo far crollare Pompei, altrimenti cadiamo nell’abbrutimento.
Non è una questione di lusso, ma della responsabilità della bellezza.
Che abbiamo ereditato, trasferito da secoli ai nostri oggetti e che non possiamo dissipare.
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