Da martedì, giorno dell’importante e utilissimo convegno sulla nuova carta di identità della Rai per il rinnovo della concessione di servizio pubblico, ogni giorno, più volte al giorno, mi scopro a domandarmi perché di certi eventi non se ne stia occupandola Rai. Miviene da dire “noi”, perché da più di 30 anni vivo la Rai con questo sentire e sarà così fino all’ultimo giorno di lavoro. Se vogliamo che nel 2016 la concessione torni in esclusiva alla Rai e ridisegni un vero e forte multimedia broadcaster pubblico per gli anni a venire, dobbiamo ragionare su tre parametri: i conti economici e la tenuta finanziaria dell’azienda, la leadership tecnologica e l’esclusività dei contenuti del prodotto. Sui primi due punti questo gruppo dirigente sta lavorando sul serio e tutti noi direttori abbiamo il dovere di spendere le nostre migliori energie per conseguirei questi obiettivi.
Sull’aspetto dei contenuti, invece, mi vengono continui pensieri: non capisco perché non abbiamo sollevato noi lo scandalo dei bronzi di Riace abbandonati e non visibili da quattro anni e perché non siamo lì, ogni giorno, con la nostra sede regionale a denunciare questo autentico attentato al patrimonio artistico e alla cultura mondiale. Non capisco perché non abbiamo già aperto alcune edizioni di un telegiornale in diretta da Lampedusa e abbiamo smesso da tempo di raccontare il dramma dei profughi che ora, dopo le vicende egiziane, assumerà di nuovo dimensioni eclatanti e che straordinariamente papa Francesco ha scelto come luogo del suo primo pellegrinaggio pastorale. Non capisco perché nessuno inventa dei programmi divertenti, con conduttori noti, giovani e meno giovani, in grado di fare anche dei giochi e delle applicazioni via web, comunque vero intrattenimento, affrontando aspetti fondamentali per l’interesse della nostra società come, ad esempio, educare gli italiani a usare proprio il web.
Vi sembra strano? Pensateci bene: quante volte a ognuno di noi si intasa la posta perché frotte di utenti di internet che della rete ignorano tutto inviano enormi quantità di mail con figurine, cartoline, video, foto e audio che non servono a niente? Quante persone usano degli anti spam? Quanti sanno che se sei su un social network devi dare per scontato che la tua privacy è ridotta e che si è tracciabili in qualsiasi momento? E quanti, ancora, usano i cellulari in tutte le loro potenzialità e non al massimo al 10%, in un paese che ha il più alto numero di cellulari pro capite in Europa?
Educare. Non è una brutta parola, è una parola bella e importante. Oggi, tanto per citare quello che citano tutti, non serve il maestro Manzi che insegni l’italiano, ma uno stuolo di maestri Manzi che spieghino le tecnologie, che sensibilizzino ai problemi dell’ambiente, dell’energia, dei consumi intelligenti. Anche per risparmiare, certo. Ma forse soprattutto per fare di tutti noi una società più evoluta, più colta, più giusta. Non capisco perché nessuna rete o canale o telegiornale faccia un autentico viaggio nella realtà femminile nell’Italia di oggi, noi, che negli anni ’60 e ‘70, avevamo il coraggio di essere una Rai molto democristiana che però raccontava “la donna che lavora” (era il 1959!), le donne vittime di violenze e chiuse nei manicomi prima della legge Basaglia (Fatua, incongrua, scucita, 1976) e le battaglie femministe più radicali (Si dice donna, 1977-1981).
Non capisco perché non seguiamo le piccole grandi realtà economiche che faticosamente ancora funzionano, o il ritorno dei giovani all’agricoltura, o il sacrificio degli insegnanti che portano da casa il loro PC portatile e un monitor per fare una lezione “contemporanea” ad alunni che sono entrati alle 8 portandosi da casa la carta igienica per il bagno. La vita vera, il racconto, la formazione non scolastica ma sociale, i problemi e le soluzioni, tutto questo può fare il servizio pubblico declinandolo sulla TV, nella radio, sul web, sugli I Pad. Lo può fare, già oggi. Lo dovrà fare domani. Ci sono certamente mille idee, mille format, mille soluzioni di successo che in tanti saprebbero e sapranno fare. Il prodotto della Rai è ciò che va in onda, dovunque lo si veda, anche su un cellulare fatto ad orologio da polso, come già succede in Cina. Adesso che sul 2016 si comincia a ragionare con buona volontà da parte di molti, apriamo la discussione su quali contenuti deve avere il servizio pubblico e su come e dove deve renderli fruibili agli utenti.