La lottomania impazza. Il settore delle lotterie, delle scommesse (e anche quello dei giorchi d’azzardo) resta uno dei pochi settori economici a livello globale in cui si registrano fatturato e utili in ascesa. Pubblichiamo due contributi giunti ad Articolo21 (di Irma Marano e Gianfranco Bonanno) che riflettono sul tema da angolazioni diverse.
Gli italiani e il gioco: in qualcosa siamo primi
di Irma Marano
Secondo la Fleur’s Magazine che ha pubblicato il Word Lottery Almanac 2013, un annuario – arrivato ormai alla ventunesima edizione – c’è un settore economico nel mondo, e in Italia in particolare, che non è assolutamente in crisi. A livello globale nel 2012 il settore delle lotterie e delle scommesse ha registrato un fatturato di 275 miliardi di dollari, con un incremento del 7% rispetto al 2011. Nello specifico le vendite del Lotto hanno rastrellato più di 110 miliardi di dollari, seguite da giochi come i Gratta e Vinci che hanno registrato un fatturato a livello globale di 76 miliardi di dollari. Il vecchio continente si posizione ai vertici di questa graduatoria, i cittadini europei hanno speso in lotterie e scommesse quasi 113 miliardi di dollari.
Il più grande operatore di lotterie a livello mondiale è l’italiana Lottomatica, che ha registrato un fatturato nel 2012 di 25,1 miliardi di dollari. Concessionaria esclusiva in Italia del gioco del Lotto e di lotterie istantanee e differite, opera anche nel settore delle scommesse sportive ed ippiche, dei giochi on line, video-apparecchi e casinò games, ha registrato una leggera contrazione di fatturato rispetto al 2011, che era stato di 29,7 miliardi di dollari. E tra i primi quindici big spender ritroviamo un’altra grande concessionari italiana Sisal s.p.a. con un fatturato di 4,4 miliardi di dollari. Anche se, è bene ricordare che nei paesi dell’eurozona in crisi – Italia, Spagna e Grecia – si è registrato una leggera contrazione di fatturato rispetto agli ultimi anni.
China Welfare Lottery e China Sports Lottery – seconde e terze nella top ten del gioco – hanno, invece, registrato nel 2012 un fatturato di 20,4 e 17,5 miliardi di dollari con, quindi, un incremento di 3 miliardi di dollari a testa, seguite dalla francese Française des jeux con 16 miliardi di dollari e un fatturato in crescita.
Crisi economica o no, il mercato del gioco tiene banco. D’altronde come scriveva Matilde Serao nel suo Paese della cuccagna: dove vi è un vero bisogno tenuto segreto […]dove vi è una rovina finanziaria celata ma imminente… ivi il giuoco del lotto prende possesso, domina…
La voglia di riscatto, il sogno di un facile guadagno, sarà per questo che l’italiano medio spende in giochi e scommesse circa 480 dollari l’anno, un bel budget, ma fortunatamente non tra i più alti del mondo. La top ten è infatti detenuta dalla città-stato asiatica di Singapore, dove la Singapore Pool, ha registrato un fatturato di 4,8 miliardi di dollari, quasi mille dollari pro capite.
L’aldilà delle statistiche l’incidenza sul reddito è mediamente alta. Giochi quali il super enalotto (tra le lotterie ad estrazione più amate dagli italiani e non solo) a fronte di una probabilità di vincita su 622 milioni, hanno registrato fatturati medi negli ultimi anni di 2 miliardi di euro.
Secondo la Federazione italiana degli operatori nel settore delle dipendenze – FEDERSERD in Italia per circa 80 mila persone il rapporto con i giochi a premi è ad elevato rischio di gioco patologico, 700 mila sono quelle che presentano un rischio moderato, 2 milioni invece sono a rischio minimo. Secondo l’indice Cpgi – Canadian Problem Gambling Index, che misura il livello di problematicità connessa ai comportamenti di gioco, il 14,5% della popolazione risulta associato ad un rischio minimo, il 4,7% ad un rischio moderato (gioco problematico) e lo 0,6% ad un elevato rischio (gioco patologico). Attualmente, in Italia sono 5 mila le persone in trattamento per gambling, in quasi duecento realtà territoriali attive, tra ASL e strutture residenziali o diurne terapeutiche riabilitative. Le ludopatie – oltre a distruggere i rapporti umani, sociali e familiari e a devastare psicologicamente i soggetti affetti – rischiano di gravare in modo considerevole sui bilanci sanitari.
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Gioco pubblico, testo unico o legge quadro?
di Gianfranco Bonanno
In questi tempi di convulsi e confusi proclami politici, quelli sul gioco d’azzardo tengono banco. Perfetto paradigma dello stato di salute del Paese, il caos regna sovrano sulla terza industria italiana e intorno ai (tanti) vulnus normativi dell’esecrata attività. Una ridda di iniziative messe in campo dal cosiddetto mondo civile – convegni, seminari, gruppi di studio, tavoli tecnici, osservatori – fa da contraltare alla pletora di provvedimenti presentati (più spesso annunciati) da parlamentari ed enti locali e territoriali, tutti diretti a trovare soluzioni ai guasti provocati da una normativa partorita per ragioni di cassa, che evidentemente non ha calcolato gli effetti – sociali, economici e sanitari – sulla comunità.
Difficile tenere il conto, e riferire, di tutte queste iniziative, molte delle quali, peraltro, di impossibile accreditamento mediatico per via della vacuità o della estrema genericità delle proposte. L’interesse politico di alcuni, legato essenzialmente al facile consenso, fa pensare più a un atteggiamento ruffiano che a una reale volontà dirimente. Se poi si aggiunge che la conoscenza del problema è in molti casi approssimativa (per usare un eufemismo), si può facilmente intuire come la cura rischi di essere peggio della malattia.
Altri – come Anci e Legautonomie, con il contributo di esperti e associazioni del terzo settore – stanno lavorando ad una legge di riordino complessivo del settore. Con quali esiti, solo il tempo lo dirà. La strada è tutta in salita. Primo, perché la ricerca della mediazione – termine che in un efficiente sistema democratico è sinonimo di vitalità – da noi è sempre sfociata nel compromesso. Che, in ultima analisi, significa perdere di vista l’oggetto del contendere, con l’inevitabile conseguenza di un abnorme corpus normativo, sovente confliggente, utile solo ad esercizi di ermeneutica giuridica.
Secondo, perché tale iper-produzione regolatoria, rinvenibile in ogni settore della vita economica e sociale del Paese, ha ormai ingabbiato e condizionato ogni tentativo di iniziativa di legge autenticamente riformatrice, cosicché non meraviglia che la politica e i suoi rappresentanti istituzionali si trovino molto più spesso nella condizione di proclamare piuttosto che di fare. E’ come se si fosse arredato un monolocale con i mobili di un castello: impossibile ormai più muoversi. Le soluzioni sono due: uscire di casa, oppure buttare via tutti i mobili, magari tenendo qualche buon pezzo di antiquariato, e razionalizzare gli spazi. Tertium non datur.
Per rimanere al tema di cui ci occupiamo qui, il concetto dovrebbe trovare applicazione proprio nell’ambito del gioco d’azzardo. Dunque: non un testo unico. A che serve accorpare norme che nascono già zoppe e devono essere continuamente sostenute dalla stampella di una gravosa (e non sempre uniforme) attività giurisprudenziale? Nello specifico serve piuttosto una legge quadro che detti i principi e ispiri una moderna disciplina dei giochi pubblici – magari coniugandoli con altri comparti economici affatto valorizzati (leggi turismo) -, atteso che essi sono ormai indispensabili alla finanza pubblica e visto che sembrano essersi attenuati i vincoli morali perfino tra i proponenti di matrice cattolica.
Se l’indicazione di una legge quadro troverà accoglimento, come sembra profilarsi, ne guadagnerà la collettività e la stessa industria dell’intrattenimento. Se prevarrà l’orientamento opposto sarà un’altra occasione perduta e l’ennesima vittoria delle lobby .
http://www.anit-it.it/news/gioco-pubblico-testo-unico-o-legge-quadro/