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Una Rai che guarda al futuro, pensando in inglese?

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VERSO IL CONVEGNO DEL 2 LUGLIO AL CNEL (Art.21/Fondazione Di Vittorio) – Quando si parla di televisione, un pò come avviene nel calcio, tutti si sentono giustamente autorizzati a esprimere giudizi e pareri. Fa parte del gioco. Il dibattito si fa più complesso quando si cerca di definire cosa debba fare una televisione finanziata con danaro pubblico. Bisogna però riconoscere alla televisione la dignità di un’analisi specifica proprio per quella “eccezione culturale” che è ormai unanimemente riconosciuta per le imprese culturali. Ma il dibattito si può trasformare in un micidiale impasto in cui servizio pubblico, mercato, tecnologia, scenari futuri, tutti argomenti messi senza gerarchia sullo stesso piano, lo rendono indecifrabile persino agli addetti ai lavori.
Negli ultimi 10 anni abbiamo ascoltato e discusso con i “top manager” della BBC in varie occasioni da Caroline Thompson a Mark Thompson. Erano gli anni in cui la BBC si preparava alla stipula della nuova Royal Charter, il contratto di servizio. La complessità dello sforzo messo in atto dalla BBC per interpellare l’opinione pubblica inglese suonava in quegli anni quasi come fantascienza in Italia.

A distanza di anni, il senso delle parole con cui la BBC ha lavorato alla sua autoriforma: “qualità, valore sociale, concorrenza creativa, diritto di cittadinanza, servizio pubblico universale”, si è dimostrata un formidabile atout e ha di fatto spinto il polo multimediale pubblico britannico verso l’eccellenza. Oggi il sito della BBC è uno dei più visti nel mondo. I suoi programmi prodotti per il mercato interno arricchiscono i palinsesti di mezzo mondo, compreso il nostro. Acclamati programmi come Superquark non potrebbero esistere senza gli acquisti fatti alla BBC. La Rai ha persino acquistato due documentari di Caravaggio.
Questo per dire che la difficile prova di ridefinire la propria identità, anche in una situazione di contrazione di mercato, può essere uno stimolo importante a ritrovare le ragioni della propria esistenza.
Ai cittadini di sua maestà, furono domande del tipo:

“Quali sono i programmi che considerate più importanti?
Come pensate dovremmo gestire l’evoluzione tecnologica e quella culturale? Che valore attribuite ai vari servizi che vi offriamo?
Furono inventate nuove forme di contabilità e trasparenza affinchè i soldi dei cittadini (fee payers) fossere spesi con efficienza e perseguendo gli obbiettivi del bene collettivo.

L’interessante lettura, della Royal Charter è altamente consigliata a chiunque oggi pensi al nuovo contratto di servizio e di concessione: non si parla di reality ma di factual documentary; non si parla di consumo televisivo ma di diritto di cittadinanza. Non si parla di format importati dall’estero ma di produrre contenuti di elevata qualità disponibili universalmente a tutti i cittadini sulla multipiattaforma digitale.
La BBC ha risposto con determinazione alla necessità di produrre e distribuire programmi di qualità. E per definire cosa sia la tv di qualità, la BBC si rivolse ad uno studio di mercato che arrivò a dettare una precisa definizione:
“la tv di qualità è fatta di idee innovative, con programmi che fanno riflettere, con alti standard di gusto e decenza e con un’elevata percentuale di programmi originali” .

Un altro punto forte del ragionamento della BBC su come massimizzare il valore dei suoi programmi scaturisce dal sofisticato ragionamento che i suoi programmi devono servire gli interessi generali del paese. Ad esempio, oltre a una quota di programmi commissionati alla produzione indipendente, la BBC ha istituito un’altra quota del 25% nella quale produttori interni e quelli esterni concorrono direttamente per realizzare i migliori progetti.

Per dimostrare quanto prenda sul serio il suo compito di servizio pubblico universale la BBC rivela il costo medio delle sue produzioni: un’ora di fiction su BBC 1 costa 780.000 euro. Un’ora di documentari specialistici (per intenderci quelle meravigliose produzioni come “I dinosauri”, “Il cervello umano”) costano oltre 500.000 euro l’ora, con una resa economica molto elevata perché vengono esportati in tutto il mondo.
Lo sforzo di rifroma culminò con lo scioglimento del Board of Governors (una sorta di CdA) a cui il si imputava il conflitto di interessi perché gestiva e controllava allo stesso tempo. Nacque l’attuale Trust indipendente dal management per misurare ogni anno i risultati ottenuti.
“It’s not rocket science”: un modo anglosassone di dire che definire gli scopi della televisione di servizio pubblico non è particolarmente difficile.
Ovviamente non è tutto oro quel che luccica e anche il “rocket” della BBC ha avuto i suoi momenti difficili, ma nel complesso il modello del public broadcast inglese si è affermato creando un nuovo standart di qualità e di servizio al pubblico. Ogni sistema ha ovviamente propri equilibri e proprie regole, ma è altrettanto vero che anche per la nuova RAI, l’esperienza inglese può suggerire importanti suggerimenti da seguire.


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