La testimonianza «Ho deciso di presentarmi spontaneamente a rendere dichiarazioni su una serie di fatti a mia conoscenza verificatasi dal 2009 in poi – raccontava De Pandi al pubblico ministero durante le indagini – e riguardanti la gestione di alcune società, perché negli ultimi tempi ho avuto contezza di situazioni che a mia insaputa erano state poste in essere e sono stato oggetto di comportamenti intimidatori e di minacce (in particolare, come dirò meglio in seguito, uno degli appartenenti a questo gruppo mi ha detto che dovevo stare attento a come mi comportavo perché altrimenti sarei finito annegato con il cemento ai piedi, e un altro mi disse che non dovevo alzare la testa perché ero una testa di legno)».
Timore di ritorsioni «Poiché ho un cugino carabiniere- raccontava ancora De Pandi, difeso dall’avvocato Pietro Gigliotti- , gli ho chiesto consiglio e di poter parlare con qualche militare perché la situazione era diventata per me insostenibile e avevo para per la mia incolumità e quella della mia famiglia, in quanto i soggetti con i quali ho avuto a che fare e in ordine ai quali ho intenzione di rendere dichiarazioni, sono soggetti pericolosi perché, da quanto ho avuto modo di capire e di vedere, si tratta di persone o organiche o comunque vicine ad organizzazioni criminali del casertano».
Le accuse E Gennaro De Pandi, che all’epoca lavorava all’hotel Domo di Perugia, finito cannibalizzato dall’organizzazione, raccontò per filo e per segno al pm e ai carabinieri del Ros come agiva l’organizzazione. «Dopo aver ricevuto rilevanti somme di denaro dall’associazione camorristica denominata ‘casalesi’ – scriveva il pm nel capo d’imputazione- impiegavano dette somme per l’acquisizione di società in difficoltà economica, e attraverso una serie indeterminata di delitti di truffa, sia in danno dei titolari che dei fornitori e dei clienti delle società, distraevano i profitti e se ne appropriavano, fino a condurre alcune imprese al fallimento».
La festa per la scarcerazione da 25 mila euro Tra i racconti di De Pandi, c’era anche quello della festa per la scarcerazione di Giuseppe D’Urso, costata 25 mila euro. «C’erano molti invitati – aveva raccontato -. Era in un ristorante di Villa Literno. Mi avevano detto che era una festa di compleanno, solo successivamente Giuseppe D’Urso mi disse che per la festa erano stati spesi 25 mila euro e che non era una festa di compleanno, ma la festa per la sua scarcerazione». Venerdì mattina davanti al giudice De Pandi ha risposto a tutte le domande del pubblico ministero ripetendo quanto detto con al formula dell’incidente probatorio. L’udienza è stata poi rinviata al tre luglio prossimo, quando l’uomo verrà sottoposto al fuoco incrociato delle domande delle difese.