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Il complesso dopo-Erdogan

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Ancora proteste. Barricate. Feriti. E’ un fatto che solo i ciechi possono non vedere. E la reazione del governo appare inutile, o futile. Il ministro degli esteri Davutoglu si appella al buon senso , dicendo che così proseguendo si danneggia il buon nome della Turchia, paese rispettato da tutti. Non dice “avete torto”, cerca di richiamare l’orgoglio patrio. Niente da fare. Allora tocca a Erdogan, e il castigatore dei leader arabi che non hanno saputo ascoltare la protesta fa proprio come loro, e si scaglia contro i social media, motore della protesta. E’ qui il segno della parabola di Erdogan. Cade sotto il peso delle sue stesse innovazioni.

Erdogan ha interpretato il bisogno di spazio e peso politico di un ceto medio islamico cresciuto tumultuosamente dopo il collasso dell’Unione Sovietica, gli ha dato una prospettiva democratica, smantellando uno stato militare e militarista, dove non c’era spazio per i ceti medi e i loro desideri. Poi la società turca è cresciuta, ma il partito di Erdogan ha perso smalto, finendo col distanziarsi dalla sua base in continua evoluzione e modernizzazione, soprattutto nelle città, e riducendosi ad apparato di potere. L’uomo che ha smantellato il sistema militare è finito solo, senza opposizioni moderne e credibili. E ha imitato i suoi predecessori, in una pericolosa concentrazione eccessiva del potere.

Ora il paese è cresciuto, anche grazie a lui e alle sue riforme, ma lui non se ne è reso conto, non ha capito quanto. E’ rimasto un testone, un testone musulmano, incapace di capire quanto nuovo fosse il nuovo turco: soprattutto della parte marciante del suo paese.

E così ora condanna i social media, proprio come fecero i leader arabi che sferzò con maestria.

Ora è difficile che lui torni indietro, e sappia riformare se stesso e il suo partito. La speranza è che la protesta non cada in mano ai nazionalisti, eredi di una storia di golpe e militarizzazione della società. Allora la Turchia andrà avanti…

Da ilmondodiannibale.glibalist.it


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