Dublino, manifestazione pro-choise dopo la morte di Savita Halappanavar
Spinto dalle proteste pubbliche seguite alla morte di Savita Halappanavar, avvenuta lo scorso ottobre 2012, il governo irlandese ha recentemente pubblicato un disegno di legge sulla Protezione della vita in gravidanza, Bill 2013, che permetterà ai medici di eseguire aborti nei casi in cui la vita della madre è in pericolo imminente. Mentre il primo ministro irlandese, Enda Kenny, insiste sul fatto che il nuovo disegno si limita a chiarire la normativa esistente, la Chiesa cattolica irlandese si affretta a condannare la futura legge come “un cambiamento drammatico e moralmente inaccettabile del diritto irlandese esistente.”
L’aborto è illegale in Irlanda dal 1861; nel 1992, una decisione della Corte Suprema l’ha confermato, fatta eccezione per i casi in cui la vita della madre è in pericolo. Ma il governo non ha mai approvato l’atto legislativo necessario a chiarire cosa s’intenda per “pericolo”.
Come risultato, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che i medici irlandesi sono bloccati in un limbo legale che li lascia in preda al timore di eseguire le necessarie procedure mediche. L’unica certezza di questo processo è che le donne sono lasciate morire.
Il problema è diventato evidente con la morte, molto mediatizzata, di Savita Halappanavar , una giovane donna indiana di origine indù, che esercitava la professione di odontoiatria. La signora Halappanavar aveva avuto un aborto spontaneo alla 17.ma settimana di gravidanza; lei ed il marito erano andati all’University Hospital di Galway, chiedendo ai medici ad intervenire per salvarle la vita. Ma la richiesta della famiglia di interrompere la gravidanza era stata negata, anche dopo che l’equipe medica aveva stabilito che il feto non era più vivo. Subito dopo, la signora Halappanavar è stata colpita da setticemia, insufficienza organica, ed è morta a pochi giorni di distanza.
La morte di Savita Halappanavar ha fatto esplodere il sostegno dell’opinione pubblica verso la nuova legge. La proposta attuale prevede che in casi di emergenza, e con il consenso della madre, il medico può interrompere la gravidanza in una struttura autorizzata.
Se il pericolo viene da un rischio denunciato dalla madre, la donna deve consultare tre medici in più – un ostetrico e due psichiatri – che devono convenire all’unanimità sull’autorizzazione. Se i tre non sono d’accordo, la donna può fare appello.
A parte questi casi, l’aborto in Irlanda rimane illegale, senza eccezioni per stupro o incesto. Chi viola la legge praticando aborti illegali o aiuta ad ottenere aborti illegali può essere condannato con pene detentive sino a 14 anni di carcere. Anche se la proposta di legge passerà, l’Irlanda avrà ancora le restrizioni più severe d’Europa in materia d’aborto.
Mentre la maggior parte dei sostenitori pro-choice sostiene che la nuova legge continua ad essere ben al di sotto di qualsiasi livello, seppur superficiale, di rispetto dei diritti delle donne, la Chiesa cattolica raddoppia le critiche. I vescovi irlandesi hanno rilasciato una dichiarazione dove si legge che “per la società irlandese, questo è un momento tragico: si sta prendendo in considerazione la deliberata distruzione di una vita innocente come risposta accettabile alla minaccia della morte evitabile di un’altra persona.”.
Voci di spicco all’interno della Chiesa sono andate ancora più oltre, esortando i sacerdoti a non dare la comunione ai politici che scelgono di sostenere la proposta di legge del governo.
Da parte sua, il cardinale Sean Brady, leader religioso dell’Irlanda cattolica oltranzista, conferma che la decisione di negare la comunione è al vaglio dei vescovi, ma che il punto ce trale è considerare questa legge come una delle principali cause di preoccupazione della chiesa.
In una nazione dove il 76,7% dei cittadini si dichiarano cattolici, e 84%, una percentuale enorme, frequenta regolarmente la chiesa, non c’è dubbio sul posto importante che le gerarchie ecclesiali occupano nella società irlandese. Proprio questa presenza elevata rende ancora più fastidioso l’utilizzo che i leader religiosi irlandesi fanno del pulpito come un mezzo per entrare nell’arena pubblica, e tentare di dettare le politiche per la salute delle donne.
Se la Chiesa cattolica in Irlanda riuscirà nel suo tentativo di prevaricare una legislazione di senso comune già stata confermata dalla Corte Suprema, dovremo mettere in discussione la natura stessa della democrazia irlandese.
Se i rappresentanti eletti di una nazione apparentemente laica sono più sensibili alle esigenze di un gruppo religioso di quanto non lo siano verso i cittadini e la costituzione, possiamo parlare di vera democrazia?