di Marika Demaria
La Corte di Assise d’Appello ha emesso la sentenza, poco prima delle 18, per l’omicidio di Lea Garofalo, testimone di giustizia uccisa a Milano nel novembre del 2009. Confermati gli ergastoli per Carlo Cosco, Vito Cosco, Massimo Sabatino e Rosario Curcio. Per Carmine Venturino la pena è stata ridotta a 25 anni e gli sono state riconosciute le attenuanti generiche. Giuseppe Cosco è stato assolto da ogni accusa. Per Sabatino e Curcio si esclude l’isolamento diurno, ridotto da due anni a otto mesi per Vito Cosco e a un anno per Carlo Cosco. Tutti gli imputati, ad eccezione di Venturino, dovranno provvedere in solido al pagamento delle spese processuali: 7 mila euro per l’avvocato Enza Rando (difensore di Denise Cosco) e cinque mila euro sia per l’avvocato D’Ippolito (difensore di Marisa Garofalo) sia per l’avvocato Sala in rappresentanza del Comune di Milano. Tantissime le persone presenti in aula: giovani di Libera, cittadini, ma anche molti parenti ed amici degli imputati che non hanno nascosto la loro gioia alla notizia dell’assoluzione di Giuseppe Cosco, che comunque dovrà scontare una pena di dieci anni (confermata due settimane fa in Appello) per traffico di droga.
A seguire la cronaca dell’ultima udienza a cura di Marika Demaria, giornalista di “Narcomafie” inviata a Milano.
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Manca una manciata di minuti a mezzogiorno quando Anna Conforti, presidente della Prima Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Milano, dichiara chiusa la fase dibattimentale e che il consesso giudicante si riunirà in Camera di Consiglio. È previsto che la sentenza di secondo grado del processo Lea Garofalo non sarà emessa prima delle 17 di oggi, mercoledì 29 maggio. Nel corso dell’ultima udienza, gli imputati Massimo Sabatino, Carlo Cosco e Carmine Venturino hanno reso le loro dichiarazioni spontanee. Il primo ha ribadito che il mandato per Campobasso era«semplicemente di dare degli schiaffi a Lea» e che «se mi avessero fermato avrei dovuto dire che il furgone mi serviva per fare un trasloco». Carlo Cosco ha parlato di «amore, passione per Lea. Se fossimo stati distaccati, non sarebbe successo niente. Lei tanti anni fa mi ha lasciato, mi ha provocato tanto dolore, perché io a lei volevo bene. Come voglio bene a mia figlia Denise sopra ogni cosa, e la mia angoscia più grande è sapere che vive protetta da me. Prego ogni giorno per avere il suo perdono. Mi assumo la responsabilità della morte di sua mamma, ma lei mi aveva minacciato, mi aveva detto che non mi avrebbe più fatto vedere Denise, e io ho avuto quel raptus». Poi a un certo punto cita l’articolo 27 della Costituzione e alcuni passaggi del Vangelo, ribadendo i suoi sentimenti verso le due donne e la sua volontà di raccontare la verità a Denise.
Carmine Venturino, infine, dichiara che «Vito Cosco, dopo essere uscito dall’appartamento, mi ha detto che l’avrei dovuto cercare sul cellulare di Damian». L’imputato si riferisce a Janczara, il giovane polacco che aveva testimoniato nel corso del processo di primo grado definendosi amico dei Coscom, ai quali faceva dei favori “ma senza chiedermi perché. Se loro mi chiedevano una cosa la facevo e basta. Perché loro mi hanno aiutato quando sono venuto a Milano, in viale Montello”.
La replica del procuratore Marcello Tatangelo parte proprio da questo passaggio dichiarativo di Carmine Venturino, ipotizzando che Vito Cosco abbia consegnato il proprio cellulare all’amico polacco «al fine di crearsi un alibi telefonico. Se infatti qualcuno lo avesse cercato, Vito Cosco avrebbe corso il rischio di essere rintracciato proprio durante i momenti del delitto».
Secca la risposta dell’avvocato difensore: «Dal cellulare di Vito Cosco è partita una serie di telefonate verso i parenti che abitano in Calabria. Quindi è oggettivamente evidente che ad usare il cellulare fosse proprio l’imputato». Versione che, ormai alle battute finali dell’udienza, conferma anche il diretto interessato.
Il legale Maira Cacucci (difensore di Giuseppe Cosco) chiede e si chiede: «Perché non vogliamo credere a Carlo Cosco? Perché non ci rendiamo conto che Carmine Venturino ha detto la verità solo quando la sua versione coincide con quella di Carlo Cosco e che per il resto ha farcito il tutto? Non gli si vuole credere perché forse il processo perderebbe l’interesse mediatico? Perché sarebbe solo – lo dico con il massimo rispetto un omicidio tra due ex?».
Infine, Daniele Sussman Steiberg, proprio a difesa di Carlo Cosco. «Ribadisco che non si tratta di omicidio premeditato ma di un momento temporaneo di follia. Non c’è stranezza nella richiesta del mio assistito circa le chiavi dell’appartamento di Floreale. Avrebbe voluto che Denise trascorresse il Natale del 2009 a Milano, quell’appartamento sarebbe servito per una sorpresa».