L’inaudita bocciatura della candidatura alle presidenziali di Rafsanjani impone il boicottaggio del voto. Ma se fallisse anche questa disperata opzione?
di Ali Izadi
Il Consiglio dei Guardiani ha preso una decisione destinata a pesare come un ulteriore macigno sul futuro del Paese: Rafsanjani non può essere candidato alla Presidenza della Repubblica. Il vecchio Rafsanjani ci aveva pensato a lungo prima di annunciare ufficialmente la sua decisione di volersi candidare per competere alla successione di Ahmadinejad. E la sua decisione di lanciare la sfida e presentarsi al giudizio del popolo aveva ricreato entusiasmo. Erano già in molti a stimare che almeno il 70% degli elettori avrebbe partecipato alle elezioni, e il 60% avrebbe detto di sì al vecchio conservatore diventato cauto riformista. Anche perché la sua denuncia convinceva gli iraniani: lo slogan “elettorale” di Rafsanjani, “ci avete portato in un vicolo cieco”, convinceva, corrispondendo alla lettura della drammatico momento nazionale della stragrande maggioranza degli iraniani.
E così il Consiglio dei Guardiani, che Rafsanjani ha a lungo presieduto, ha deciso che lui, l’ayatollah più famoso nel mondo, non può candidarsi. Perché? Troppo anziano.
Lasciamo perdere le ilarità che può creare una motivazione del genere in un paese dove il potere è nelle mani di Khamenei, e la non giovane età della guida spirituale della rivoluzione islamica è a tutti nota. Il fatto è tragicamente rilevante, va al di là della portata delle possibili ironie.
Rafsanjani infatti ha deciso di non reagire con il silenzio, ma parlando. E così facendo va al di là del titolo del suo “slogan elettorale”. Dice che candidarsi alla Presidenza della Repubblica non è una scelta che si può fare a cuor leggero. Chi vuole guidare che ha un debito di 500mila miliardi di tuman, la nostra povera moneta, con banche e grande aziende: chi potrà ripianarlo? Nel sacco di Rafsanjani ci sono molte verità amarissime per l’economia iraniana: per esempio che i cinesi acquistano il nostro petrolio, ma non pagano più in juan, nè in cambio/merci di nostro interesse, ma in cambio/merci di loro interesse! Lo stesso vale per l’India, alla quale non bastano più i contratti sotto costo. Cosa accadrà della nostra indipendenza quando Israele e Stati Uniti avranno finito di aspettare l’esito delle nostre presidenziali?
La domanda che gli iraniani si pongono in queste ore è molto spemplice. Cosa dobbiamo fare? L’idea è che occorra un combattimento elettorale, politico e culturale, cioè non andare a votare per non farsi strumenti del piano nazional-suicida di Khamenei. Ma se loro riuscissero a costringere alle urne più del 30% degli elettori, il piano riuscirebbe?