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Ci si è interrogati spesso su cosa sia il concorso esterno in associazione mafiosa…

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Ci si è interrogati spesso su cosa sia il concorso esterno in associazione mafiosa (più precisamente: concorso eventuale nel reato associativo), ci si è chiesti anche, a volte invero assai maliziosamente, se servisse realmente. Oggi, il Pdl sembra voler rivedere le pene. Ritengo, pertanto, che alcune precisazioni debbano essere fatte, anche alla luce di quanti, alcuni, evidentemente, interessati, altri per, comprensibile, spirito accademico, ritengono che questa figura dovrebbe scomparire dalle aule di tribunale. Brevemente, allora. Il concorso esterno in associazione mafiosa è una fattispecie di reato non prevista dal nostro codice penale ma frutto di una creazione giurisprudenziale, finalizzata alla lotta alla criminalità organizzata. Infatti il nostro codice prevede, all’articolo 416 bis, il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso: tale reato serve per punire coloro che fanno parte, organicamente, delle associazioni criminali. Come punire, dunque, chi, pur non facendo parte organicamente dell’organizzazione mafiosa, contribuisce al rafforzamento della stessa? Per questa ragione i giudici crearono l’artificio del “concorso esterno”, ( utilizzando la norma del 416 bis e quella del 110, cioè il concorso di persone) rendendo così possibile punire coloro che contribuiscono al rafforzamento della mafia, pur non facendone organicamente parte. Come evidente, questa ricostruzione normativa ha consentito, nel corso degli anni, di condurre una serrata lotta a tutti quei soggetti, professionisti, politici o faccendieri, che hanno, con le loro attività, consentito alle organizzazioni mafiose di proliferare e rafforzarsi. Essendo, come visto, una fattispecie di creazione giurisprudenziale, nel corso del tempo, diversi sono stati i requisiti che, via via, i giudici ritenevano indispensabili ai fini della configurazione di questa figura ibrida. Se in un primo momento (sentenza Demitry, 1994) si richiedeva che vi fosse la prova che il soggetto imputato fosse intervenuto in un momento di fibrillazione della stessa associazione criminale, intendendosi come fibrillazione uno stato di difficoltà della stessa associazione, in un secondo momento i giudici della Cassazione ritennero che fosse necessario un contributo concreto al rafforzamento dell’associazione criminale. Si giunge, così, alla sentenza Mannino (2005) nella quale i giudici richiedevano un quid pluris, e cioè la prova non soltanto del cosiddetto “patto” fra il concorrente esterno e l’organizzazione criminale ma addirittura la prova che detto patto si fosse realizzato, ovvero avesse sortito degli effetti. Ebbene, è evidente che un onere probatorio di questo tipo è assai difficile da raggiungere e, brevemente, tenterò di spiegare il perchè. Poniamo il caso che concorrente esterno sia un politico e che questi abbia, in cambio di voti, promesso di impegnarsi per la promozione di una legislazione antimafia più morbida: ebbene, immaginiamo che, per l’opposizione della maggioranza dell’assemblea istituzionale nella quale questo politico opera, questa legislazione non si realizzi. Con l’onere probatorio richiesto dalla Cassazione sarebbe davvero arduo poter giungere all’affermazione di una penale responsabilità, dato che il patto non si è realizzato (anche se per fattori estranei alla volontà del concorrente esterno). Pensiamo, ancora, ad un magistrato di un collegio giudicante che promette l’assoluzione di un associato ma che, grazie alla schiena dritta dei suoi colleghi del collegio, non riesca nell’impresa: è pensabile che anche in questo caso, stante il fatto che non vi è la realizzazione della promessa, non si possa giungere alla affermazione della penale responsabilità del concorrente esterno? Questo tipo di onere probatorio è stato, specie negli ultimi anni, la causa di numerosi processi penali terminati con l’assoluzione degli imputati di concorso esterno: non, dunque, la politicizzazione della magistratura, gli intenti persecutori, ovvero ancora la fragilità del quadro probatorio, ma semplicemente un onere probatorio che, in determinate circostanze, è difficilmente dimostrabile. Ma proprio la difficoltà di dimostrare il rapporto fra il concorrente esterno e l’organizzazione criminale è il nucleo essenziale,la peculiarità, del concetto stesso di concorso esterno, poiché altrimenti sarebbe sufficiente la semplice figura dell’associato, laddove è evidente che l’onere probatorio debba essere il più elevato possibile!  Si è giunti, finanche, alle parole del Procuratore generale Iacoviello, il quale, nel corso della requisitoria dinanzi alla Corte di Cassazione nel processo a carico del senatore Marcello Dell’Utri, ha posto il dubbio circa il fatto che il concetto stesso del concorso esterno fosse superato (e superabile). È evidente, pertanto, che essendo una fattispecie di creazione giurisprudenziale essenziali sono gli orientamenti inerenti l’onere probatorio, per cui più alto è l’onere richiesto più aleatoria è la stessa fattispecie e dunque la possibilità di sanzionarla. Del resto, deve dirsi che, ad oggi, non vi sono altre possibilità di punire questo tipo di condotte: infatti, il tante volte citato articolo 416 ter punisce chi ottiene voti in cambio di denaro. Ora, come evidente, sempre più spesso, il politico che interagisce con le associazioni mafiose in cambio dei voti non promette affatto denaro ma favori, appalti, commesse, interventi legislativi e normativi, per cui questo articolo del codice penale è assolutamente inutile (se non in un ristretto numero di casi) per colpire le condotte di coloro che dall’esterno contribuiscono al rafforzamento delle mafie. Così come, altrettanto inutile sarebbe il mero ricorso alla fattispecie del favoreggiamento (art. 378) poiché tale figura prevede la condotta del favorire una o più persone e non già una intera associazione e peraltro nell’arco di un limite temporale assai ristretto. Su questo quadro, già complesso, interviene la volontà del Pdl ( tacendo della circostanza che numerosi sono i parlamentari di quel partito sotto accusa proprio per concorso esterno) di tipizzare la fattispecie del concorso esterno, con la creazione di un apposito articolo,  il 378 ter, collegando, però, allo stesso una pena più che dimezzata rispetto all’attuale (12 anni) e cioè di soli cinque anni. Questo significherebbe una prescrizione, peraltro, più celere e soprattutto negherebbe la possibilità dell’utilizzo delle attività di intercettazione (possibile per i reati la cui pena è superiore ai cinque anni), con una ricaduta, anche, sui procedimenti, attualmente in corso. Ora, se appare possibile ed a tratti assai utile che si possa tipizzare la fattispecie del concorso esterno, è evidente che ciò dovrebbe avvenire nell’ottica di una rivisitazione complessiva della legislazione antimafia e nella consapevolezza che l’obiettivo dovrebbe essere, casomai, l’inasprimento della pena (o quantomeno il non dimezzamento della stessa) e comunque la possibilità di avere strumenti normativi che consentano di combattere le associazioni criminali in una frontiera, quella economica ed imprenditoriale, che appare la nuova frontiera delle stesse organizzazioni criminali. Al contrario, restringere il campo penalistico su cui innestare tale lotta significherebbe condurre una battaglia fuori dal tempo. Purtroppo, sarebbe auspicabile che il dibattito fosse prevalentemente giuridico, culturale e quindi politico ma c’è da dubitarne fortemente in un Paese in cui tutto viene strumentalizzato per fini non propriamente di interesse generale.


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