BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Nairobi chiama Napoli, Luanda risponde, parte il progetto “10 Cities”

0 0

Dieci città, cinque Africane e cinque Europee. 10 esperienze urbane e musicali diverse a confronto. Le cinque città Africane sono Nairobi, Luanda, Johannesburg il Cairo e Lagos, le cinque città Europee sono Napoli, Lisbona, Kiev, Berlino e Bristol. Il progetto nasce a Nairobi grazie al vulcanico direttore del Goethe Institut Johannes Hossfeld, il quale da subito si è distinto per la sua interpretazione totalmente diversa di fare cultura.  Ormai da cinque anni il Goethe Institut di Nairobi ha intrapreso una strada tutta sua, completamente diversa da quella degli altri istituti presenti a Nairobi.

Più volte Johannes mi ha spiegato che il mandato del Goethe non è solo quello di insegnare il tedesco e di promuovere gli artisti della madre patria in Africa, ma anche, anzi, soprattutto, quello di promuovere un dialogo tra gli artisti Africani e gli artisti Europei, per far conoscere al vecchio continente cosa sta succedendo in Africa attraverso il linguaggio dell’arte ed aprire nuovi sentieri per gli artisti Europei in cerca di nuovi spunti ed esperienze creative.

In questo senso il Goethe nonostante le sue Europeissime radici sembra essere il meno degli Eurocentrici tra i centri culturali presenti in città. A Johannes interessano i processi di scambio culturale che possono avvenire attraverso la musica e l’arte all’interno e tra i centri urbani Africani ed Europei. Con lui ho sviluppato progetti come Urban Mirror, comunità on-line ed off-line che agiscono e trasformano attraverso l’arte gli spazi pubblici di Nairobi, ho prodotto Maskaniflani documentario musicale sul concetto secolare di spazio comunitario nella cultura Swahili, ed infine ho diretto e prodotto Twende Berlin un film musical sul fenomeno della gentrification che sta cambiando Berlino, una storia raccontata da un gruppo di artisti Kenyani invitati sempre dal Goethe a Berlino per esplorare la città ed interagire con essa. In pratica ci siamo divertiti ad esplorare senza pregiudizi e con molta curiosità la sfera Urbana Africana e quella Europea utilizzando nuove categorie di pensiero, nuovi approcci che hanno radici nelle nostre esperienze di vita a Nairobi, esperienze sulle quali abbiamo costruito nuove identità urbane ibride, Africani in Europa ed Europei in Africa, una condizione di nuova cittadinanza che ci ha radicalmente cambiato e che forse cambierà per sempre le relazioni tra i due continenti.

Quando è nato il progetto 10 Cities Johannes ha utilizzato i suoi networks per costruire una rete di persone con le quali lavorare nelle diverse città, quindi come avrebbe detto il buon Goethe le affinità elettive prima di tutto. Ho chiaramente proposto Napoli la mia città natale, città amata dallo stesso Goethe, città sede di prestigiosi centri Universitari stimati soprattutto da chi si occupa e studia l’Africa. Quella sera pioveva ed i clubs di Westland (quartiere notturno di Nairobi) erano semi vuoti, Johannes mi ha guardato perplesso, ci ha pensato un secondo e poi mi ha detto che gli sembrava una buona idea, dopo qualche mese lui ed Andi Teichman un produttore di musica elettronica che vive a Berlino erano a Napoli, e mentre Andi iniziava a conoscere gli artisti Napoletani io e Johannes iniziavamo ad interagire con gli intellettuali per capire come impostare la nostra ricerca.

Questo progetto è forse uno dei più ambiziosi mai realizzati dal Goethe Institut in tutto il mondo, e Nairobi è il centro dal quale tutto è stato creato ed ora viene gestito. L’obiettivo è quello di parlare di 10 città attraverso la loro musica coinvolgendo non solo artisti ma anche accademici e giornalisti che da tempo si occupano di studiare come la musica influisce sulla sfera pubblica urbana, quindi Club Music and Public Sphere, due parole che dovrebbero secondo Johannes creare un corto circuito per far riflettere sul ruolo politico che la musica ha sempre giocato re-definendo gli spazi di cultura e controcultura che caratterizzano i diversi paesaggi urbani.

Da Napoli il famoso Marco Messina dei 99Posse ed il giovane talento emergente Lucio Aquilina sono arrivati a Luanda mentre a Nairobi sono arrivati Iain Chambers  professore presso il dipartimento di Studi culturali e postcoloniali all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e fondatore del Centro per gli Studi Postcoloniali e Danilo Capasso ricercatore presso l’Università di Architettura e fondatore del progetto NEST, ad aspettarli a Nairobi c’eravamo io Johannes ed altri 18 tra ricercatori e giornalisti.

Dopo tre intensi giorni di esperienze urbane, ci siamo chiusi in un lodge sulle sponde del lago Naivasha a ripensare il modo in cui è possibile parlare di musica attraverso la musica, di come la musica abbia influenzato la memoria ed il carattere delle diverse generazioni che hanno attraversato lo spazio urbano delle 10 città oggetto della nostra ricerca.

Iain Chambers, è stato più volte invitato a presentare il suo approccio allo studio della materia “musica”, ed ha più volte ripetuto che dobbiamo smetterla di pensare alla musica ed iniziare a pensare con la musica, perché la musica è un processo capace di aprire e chiudere spazi nei quali la cultura viene legittimata o sovvertita, il potere viene osannato, ignorato o demonizzato. La musica non è un oggetto in sé è dunque un soggetto pensante che ha una sua testa e delle proprie gambe, studiata in questo modo la musica diventa un metodo in sé per comprendere meglio il mondo che ci circonda.

Dal Luanda per esempio sono arrivate suggestioni inaspettate, sono state messe in discussione categorie come i clubs, perché in Angola la musica è in parte riprodotta e distribuita dai taxi collettivi i quali nel fine settimana danno vita a veri e propri sound systems. I musicisti sono a volte gli stessi proprietari di queste discoteche ambulanti che disegnano mappe urbane ibride, in parte come servizio pubblico in parte come discoteca mobile, in parte come distributori di cultura popolare. In Kenya dove lo stato è più conservatore rispetto le tematiche riguardanti lo spazio urbano queste discoteche ambulanti sarebbero state messe al bando ma nella capitale Angolese sembra che le cose vadano in modo diverso, il Kuduru la musica nazionale è diventato un potente mezzo di mobilitazione delle masse e di questo il governo si è reso conto, così invece di reprimere il pericoloso fenomeno sembra che sia entrato a far parte del business proponendo una versione più commerciale e meno reazionaria di questa musica che affonda la sua anima nelle baraccopoli della città.

Altre suggestioni importanti sono arrivate da Lagos dove i movimenti del corpo sono regolati da una sorta di galateo del ballo, uno diverso per ogni membro della società. Da Kiev invece è arrivato il proprietario di un locale storico che ha raccontato le sue prime esperienze come DJ, quando lo stato gli mandava prima di ogni serata una lista con i cantanti proibiti, tra loro Julio Iglesias accusato di neo-fascismo. Da Bristol risuonano invece i suoni Jamaicani ed il punk ma soprattutto la dub elettronica che nasce e si diffonde partendo proprio da questo porto Atlantico. Dal Cairo testimonianze della repressione e della lotta dei giovani contro un regime che si sta facendo sempre più oppressivo, dal Sud Africa la house music che a Johannesburg ha un ritmo diverso da quello di Londra, meno battiti per secondo e più tempo per riprodurre movimenti e suoni legati alle tradizioni musicali tribali, nonostante la house Sud Africana sia nata nelle baraccopoli la ricerca delle radici pre-urbane è fortissima e si esprime attraverso le copertine dei dischi che raffigurano gli artisti nei villaggi tradizionali. Da Nairobi arriva la mania del Gospel che non ha niente a che vedere con quella musica Afro Americana nata nelle piantagioni. Lisbona invece sembra essere un laboratorio di nuove identità, i portoghesi ora guardano verso sud, le correnti migratorie li portano in Mozambico in Angola a Capo Verde, tutto questo si traduce in un sound Africano che però è caratteristico di Lisbona, sembra assurdo ma a Lisbona è nato un genere Africano che non esiste in Africa. Berlino invece guarda con nostalgia al suo passato anarchico e con paura alla commercializzazione di tutti gli spazi un tempo resi interessanti dagli artisti che venivano da tutto il mondo, forse dovrà guardare verso Est per risorgere. Napoli è come sempre irrompente, il suo contributo si è fatto sentire e non attraverso la solita narrazione della gloriosa Napoletaneità, ma nella sua proposta metodologica, così mentre Iain Chambers cercava di rompere i rigidi schemi della storicità, Danilo Capasso disegnava mappe che connettevano tra loro diversi livelli, quello spaziale, quello mentale e quello musicale. Io ho cercato invece di proporre un focus sulle “eterotopie” quegli spazi “altri” che si creano grazie alla musica che rompe gli schemi, che è capace di segnare con i propri bit un prima ed un dopo dal quale non sarà più possibile ritornare. Forse questo incontro può essere definito come uno di questi momenti che rompono con la storia ufficiale, quella scritta dai media mainstream e da quelli che vincono le guerre. I giorni passati insieme a questi ricercatori e giornalisti rappresentano una rottura con il passato, i tedeschi non organizzano più incontri a Berlino per decidere con gli altri Europei come dividere l’Africa, ora preferiscono portare gli Europei in Africa per discutere di Club Culture e Public Sphere, registrare questo evento non cambierà il mondo, ma sicuramente contribuirà a rendere la storia contemporanea meno lineare.

* Vincenzo Cavallo è un videomaker e, insieme a Enzo Nucci uno dei fondatori dell’Osservatorio di Articolo21 a Nairobi


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21