Giornalisti rapiti, imprigionati, uccisi. Come può esserci la libertà di raccontare quello che succede nel mondo se i reporter ogni giorno rischiano sempre più la vita? L’esatta, preoccupante dimensione del fenomeno si può trarre solo dalle cifre. Ci sono dati di se per allarmanti: negli ultimi cinque anni sono stati 571 i reporter uccisi nel mondo, 1807 negli ultimi dieci anni, quasi 15 mila negli ultimi venti. Senza contare i bloggers che fino a poco tempo fa neppure erano considerati fra le vittime dell’informazione. Quest’anno, dopo i primi quattro mesi, i morti sono già 39 in piena drammatica media con le stagioni precedenti, visto che ogni anno presenta un conto di almeno cento vittime. Il Paese più pericoloso risulta al momento il Pakistan, con nove reporter uccisi. L’ultimo a cadere, per mano di sicari, è stato Arif Shafi, il 29 aprile a Peshawar: lavorava per l’agenzia afghana Pajhwock che ho visitato a Kabul durante il sequestro Mastrogiacomo. Struggenti le foto che ha messo sul suo profilo twitter (@arifshafi): sta sempre in mezzo ai bambini. Seguono Somalia (cinque vittime), Siria e Brasile (con quattro). Ma per offrire un panorama più veritiero occorre allargare il panorama agli ultimi tre anni, cioè a partire dal 2010. E oltre a quelli appena citati risultano fra i Paesi più pericolosi per i giornalisti Messico, Honduras, Russia e Filippine come conferma anche la graduatoria relativa alla libertà di stampa. Dopo più di dieci anni di guerra si continua a morire anche in Iraq (20 morti nell’ultimo triennio per un totale di 276 dall’inizio del conflitto) e in Afghanistan (6 morti in tre anni per un totale di 33). L’ultima vittima italiana per fortuna risale risale al 2010 quando il fotografo Fabio Polenghi cadde in Thailandia durante la guerra civile.
Non c’è tuttavia solo il prezzo più alto, la vita, a documentare il tributo dei giornalisti alla libertà di informare. Sono stati 1993 quelli arrestati l’anno scorso e attualmente sono in prigione 343 reporter: 175 dei media tradizionali e 157 bloggers. L’infame classifica vede nettamente in testa la Cina, con 98 detenuti, seguita da Iran (46), Siria (40), Turchia (33) ed Eritrea (32).
Notevole anche il numero dei rapiti: addirittura 42 nell’ultimo anno, compresi Ricucci e i suoi compagni di viaggio, e presumibilmente anche Domenico Quirico per cui stiamo tuttora in ansia.
Ma perché il mondo non vuole testimoni? Chiudo ricordando quello che una grande, coraggiosa reporter, Anna Politkovskaja aveva scritto poco prima di essere eliminata: “Non sono un magistrato inquirente, sono solo una persona, sono una giornalista, che vuole descrivere quello che succede a chi non può vederlo”. Questa è l’unica nostra grande colpa. Imperdonabile per chi vuol nascondere la verità.