E’ un dibattito curioso quello in corso negli Stati Uniti sulla risposta che la Casa Bianca deve dare al quasi comprovato uso di armi chimiche da parte del regime di Bashar Assad.
Cominciamo dalla Casa Bianca, che lancia la pietra, “armi chimiche quasi certamente usate”, ma poi la ritrae: “non faremo come in passato, quando scatenammo una certa guerra sulla base di accuse poi rivelatesi false”. Il riferimento al pasticcio-Bush sulla catastrofica guerra in Iraq è esplicito. E poi si ripete più e più volte: “uso limitato, piccole quantità, comunque da appurare con ulteriori prove.”
La Casa Bianca sembra proprio recalcitrante, non vuole finire nel pantano siriano, ma Obama non vuole neanche farsi prendere per fesso da Assad e dai suoi. Questa in estrema sintesi la posizione dei democrats. All’attacco invece i repubblicani.
In prima linea per l’intervento c’è l’ex candidato presidenziale, Mc Cain. Nelle sue dichiarazioni i siriani non figurano quasi mai. I punti infatti sono due: Washington ha fissato una linea rossa che non si poteva sorpassare, l’uso di armi chimiche: ora non possiamo dire che fosse una linea tratteggiata e non continuativa. Se è stata sorpassata è stata sorpassata. Secondo punto: non intervenire ci espone al rischio di ritrovarci con quelle armi chimiche usate altrove. E i siriani? Spariti…
Con toni molto diversi si è espresso l’ambasciatore israeliano a Washington, Michael Oren. “Situazione complicata”, ha detto in un’intervista a Fox Tv. In base alla legge internazionale, questo il cuore del suo ragionamento, se io bombardo un deposito di armi chimiche e questo, esplodendo, danneggia la popolazione civile, è come se io avessi usato armi chimiche. E vista la diffusione dei depositi di armi chimiche e batteriologiche sul territorio siriano il rischio c’è.
Meditate, sembra dire l’ambasciatore ai politici statunitensi. Proprio nelle ore in cui il nuovo governo israeliano ha discusso per la prima volta della situazione in Siria, chiamato a confermare o cambiare la linea del precedente esecutivo.