Nel 2008 FNSI (il sindacato dei giornalisti) e Consiglio Nazione dell’Ordine dei giornalisti hanno redatto un protocollo deontologico denominato Carta di Roma che richiama i giornalisti al rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati riguardanti richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.
Il protocollo è stato redatto per ovvie necessità. Quante volte gli stessi media utilizzano stereotipi razzisti e creano allarmismi a sfondo xenofobo? Dei casi positivi si parla poco, invece. Non si parla degli immigrati del Burkina Faso che a Casal di Principe, dopo aver lavorato nei campi per tutta la settimana, si sono riuniti ad altri ghanesi, nigeriani e malesi e sono scesi in strada a fare pulizia.
Non si parla della nigeriana H. che non ancora maggiorenne e obbligata a prostituirsi, ha denunciato una connection internazionale di trafficanti che ha portato all’arresto di ventidue persone e alla denuncia di altre cinquantaquattro.
Due petizioni lanciate recentemente su Change.org, propongono un’immagine positiva e propositiva dei migranti e delle comunità di origine straniera.
Nel polo logistico di Piacenza c’è l’immenso magazzino Ikea dove braccia egiziane, pakistane e albanesi spostano le merci che arredano le nostre case. Non sono assunti direttamente, ma tramite cooperative in subappalto che non garantiscono condizioni di lavoro dignitose. Le lotte dei lavoratori in questione hanno dato esito positivo nei confronti della TNT, dove i lavoratori – migranti hanno ottenuto migliori condizioni di lavoro e soprattutto milioni di euro di contributi per le casse pubbliche. “L’irregolarità nei contratti di lavoro – spesso presente nella rete dei subappalti – danneggia tutti: lo Stato incassa meno risorse e quindi è costretto a tagliare i servizi. Noi stranieri siamo di passaggio. Ma lottiamo anche per gli italiani. Un’azienda attenta al sociale con 27 miliardi di fatturato può tranquillamente offrire condizioni di lavoro dignitose e prezzi competitivi”.
Un’altra petizione invece chiede il Palasharp di Milano, di proprietà comunale, per la realizzazione di una moschea.
La struttura è attualmente in disuso e non vi sono progetti in previsione su quell’area. Inoltre la sua demolizione costerebbe alle casse del Comune 700.000 euro. Il Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano (che riunisce 13 associazioni molto eterogenee e che fanno riferimento a comunità di diversa origine) si offre di salvaguardare lo spazio e dare a Milano un luogo di preghiera che potrà rispondere anche alle necessità di più di 6 milioni di visitatori provenienti da paesi a maggioranza musulmana per EXPO 2015.