C’è poco da dire. Quella che si è appena conclusa è la giornata peggiore che il Partito Democratico abbia mai avuto. Ci sono notizie di sedi e circoli del Pd occupate da giovani e meno giovani iscritti. Una base in rivolta che chiede il cambiamento complessivo di una classe dirigente. Se possibile quel che è successo a Montecitorio è ancora peggio. La mattinata sembrava partire nel migliore dei modi per il Pd. Pdl sul piede di guerra per quello che Berlusconi ha definito un tradimento delle larghe intese. Poco prima, al Capranica, il Pd dopo il dramma vissuto sul nome di Franco Marini, sembrava aver ritrovato l’unità sul nome di Romano Prodi. E se qualcuno diceva “attenzione, se Prodi non passa si rischia l’implosione del Pd” in molti rispondevano: non succederà. Poi però, nell’arco della mattinata e prima del quarto scrutinio, qualche paura in più cominciava a serpeggiare.
Nei cappannelli in Transatlantico alcuni parlamentari del Pd cominciavano a mettere dei paletti. Attenzione – dicevano – se Prodi non arriva almeno a 430 voti sui 495 che sono a nostra disposizione, è Bruciato. Intanto fuori una manifestazione improvvisata di centrodestra contesta la candidatura di Prodi. Centro destra e Lega non partecipano al voto. Scelta Civica sceglie di votare Anna Maria Cancellieri. Così il centrosinistra si conta e I cinque stelle continuano a votare Stefano Rodotà.
Dentro l’aula entrano solo due elettori del centrodestra. Alessandra Mussolini ed il vice presidente vicario dei senatori Pdl Simona Vicari. Indosso hanno una maglietta con una scritta, fronte e retro. Da una parte “no, questo no” e dall’altra “il diavolo veste Prodi”. Il Presidente Boldrini chiede loro di uscre. Il voto procede. Alla fine comincia lo scrutinio e si consuma il dramma. Prodi si ferma a 395 voti. 35 in meno della soglia minima. 101 franchi tiratori. Rodotà prende 211 voti. 49 in più di quelli che hanno i cinque stelle. Poi qualche voto in più ad Anna Maria Cancellieri oltre a quelli in possesso di Scelta Civica. 14 a D’Alema e poi qualche voto sparso qua e là, come i due a Franco Marini. E’ la resa dei conti in casa Pd! Alcuni messaggini che arrivano sui telefonini di alcuni parlamentari del Pd dalla base elettorale non sono raccontabili. Il Pdl festeggia. Le poche dichiarazioni che arrivano dai democratici lasciano prevedere che può succedere di tutto.
Qualcuno prova ad accusare Sel e Vendola, che forse immaginava quel che sarebbe successo, spiega che i suoi elettori hanno votato Prodi R. Non ci sono defezioni. I franchi tiratori sono tutti nel Pd.
Fuori un parlamentare democratico dice ad un collega: “Adesso convocheranno i gruppi?” e l’altro risponde: “A che serve, tanto qui ognuno fa come cazzo vuole”. Lo sbando è completo.
Facce buie e qualche lacrima tra i parlamentari del Pd che restano, frastornati, in Transatlantico. Si domandano ancora chi sono i franchi tiratori, che cosa è successo e arrivano le dimissioni da presidente di Rosi Bindi. Poco dopo tuona dal Mali Romano Prodi. Si dice non più disponibile e afferma: “Chi mi ha portato fin qui deve assumersene la responsabilità”. Un messaggio chiaro.
Bersani convoca i gruppi al Capranica. Prima dice. “Uno su quattro ha tradito” e poi annuncia le sue dimissioni che sono già definite ma che diventeranno operative dopo la nomina del nuovo capo dello stato. Ma sono in molti, specie i più giovani, a chiedere che ad andare a casa sia tutto il gruppo dirigente. Lo chiedono Orfini, Civati, dal Friuli la stessa Serracchiani. E qualcuno dice chiaramente che pensare di avere un partito in cui gli interessi personali rischiano di sciogliere il partito stesso, è cosa che non può essere più accettabile. La classe dirigente deve andarsene. E qualche accusa, sui personalismi, non è solo per i d’Alema, i Fioroni, i Bersani ma in parte anche per il giovane Matteo Renzi.
Domani si capirà che fare tra la prima e la seconda votazione. Saranno chiamati tutti i grandi elettori, uno per uno, per comprendere quale orientamento hanno. Poi, fatti due conti, si deciderà che fare. Di certo è che ogni decisione è azzerata. Tutte le soluzioni tornano in campo. E c’è chi pensa ancora a Stefano Rodotà. Ma servirà comprendere se i numeri saranno dalla sua parte. Oppure di confluire su un nome come quello di Anna Maria Cancellieri. O prendere un altro petalo della rosa come quello di Giuliano Amato.
Il Pd, come siamo stati abituati a vederlo, non esiste più. Forse si scioglierà, forse si dividerà in due parti. E nel disastro di queste ore c’è chi, ottimista, dice: “Forse da questo caos primordiale nascerà qualcosa di buono. Magari non per il Colle ma per il Paese”