Ha detto Picasso: “L’ arte è una menzogna che ci aiuta a capire la realtà”. Quale menzogna ci racconta oggi a Venezia, Palazzo Grassi con la mostra di Rudolf Stingel? Una mostra d’ arte visiva e, nello steso tempo, molto di più di una mostra d’ arte. Una riflessione profonda, acuta, inquietante che esplora il rapporto tra il mondo culturale, i simboli, gli stili, la vita, della cultura del lontano Oriente, la cultura islamica e, dall’altra parte, l’ espressione della cultura, passata e contemporanea, del mondo occidentale. Non il solito dialogo tra i valori di culture diverse, di storie diverse, l’individuazione dei punti di contatto, le possibilità di un dialogo fecondo, quasi pacificatore tra mondi diversi. Se fosse così sarebbe interessante o, forse, banale, ma non è così. O, almeno, non è così in questo caso. Questa mostra ci lascia inquieti, dubbiosi, spiazzati. Ci coglie impreparati in un terreno vitale per il futuro del nostro mondo: la compresenza di culture, popoli, storie, simboli diversi, profondamente diversi, che pure dovranno arrivare a uno scambio, a un incontro, a un arricchimento, a una trasformazione. Già. dovranno. Ma come? Con quali possibilità di ospitare, di leggere, di capire i segni dell’ altro?
Parlare lingue diverse è già un problema, ma parlare storie diverse, segni che hanno significati diversi può essere un bel problema, ma anche un grave problema, fonte di conflitti, di incomprensioni, di equivoci, di rifiuti; essere base di guerre tra popoli, che non sono solo una lotta di potere, di primato commerciale, di rendita economica, ma che hanno la loro origine anche in una guerra tra culture, tra i significati che vengono dati alla propria identità, a ciò che regola e rende possibile la vita sociale di una nazione, di una pluralità di popoli. Come viene affermato ciò che è bene, ciò che è male, ciò che è famigliare, ciò che è estraneo.
Questa mostra, fortemente voluta da François Pinault e realizzata con intelligenza da Martin Bethenod, ci porta in un Palazzo Grassi completamente trasformato. Lasciati i pochi metri del corridoio d’ ingresso, si entra in un mondo completamente altro, quasi un bazar turco di una capitale orientale, come se Venezia non ci fosse più, come se all’ improvviso, per una magia della sorte ci si trovasse nel Palazzo fastoso di un’ altra capitale, di un altro regno, di un altro dominio.
Rudolf Stinger ha ricoperto l’ intera superficie, pareti, pavimenti, tutto con un materiale che riproduce un tappeto orientale che si moltiplica negli spazi, oltre cinquemila metri quadrati, quasi un’ immenso bazar, il prestigio di una decorazione artigianale che tutto ricopre, che tutto ciò che qui entra rende ospite. L’ arte indaga la realtà, ma anche l’ esistenza. Nel Palazzo di Stingel l’ assieme comunica la presenza di un’ esistenza forte, segnata, solo apparentemente accogliente, in realtà dominante. Alle pareti, in misura molto contenuta, delle opere di Stingel, questo artista nato a Merano e di grande successo internazionale. Ed è proprio qui che nasce il problema. Le opere sono ospitate, le riproduzioni di capolavori della nostra cultura occidentale sono piccoli segni, una presenza estranea, che non dialoga con la geometria, i colori, il lavoro artigianale, eredità di antiche tradizioni, che li ospita. Ciò che a noi dice molto a quella cultura non parla. Chissà quante volte abbiamo affrontato un negoziato con altri paesi, altre culture, portando il meglio dei nostri simboli, i vertici della nostra cultura, e trovarci meravigliati perché tutto ciò lasciava indifferenti i nostri interlocutori.
E’ stato detto: in un mondo globalizzato dobbiamo abituarci all’ idea di un meticciato culturale. Espressione d’ effetto, ma superficiale. Le culture spesso sono importanti ma non è detto che sempre siano destinate al matrimonio, possono anche entrare in rotta di collisione, esprimere tutto ciò che alberga nell’ uomo. Non solo l’ intelligenza, ma anche la frustrazione, la rabbia, il senso del pericolo che genera aggressività, odio, indifferenza, guerra.
Stinger, che l’ abbia fatto intenzionalmente o meno, con la sua arte ci aiuta a capire la realtà delle relazioni internazionali. A capire che a volte la cultura di un popolo può essere splendida, sontuosa, ma rispetto ad altre culture una macchina celibe.
Dobbiamo rinunciare a costruire un mondo nuovo? No. Ma il primo passo è quello di capire da dove partiamo. Stinger e Palazzo Grassi ci aiutano ad avere questa consapevolezza, ad essere lucidi e realisti. A volte, capire un problema è un buon inizio, l’ unico modo di guardare al futuro. L’ arte è un racconto ma quasi mai i racconti sono innocenti.